28/12/2022

A cura della Redazione di “Politica in Penisola”
 
Come da nostra tradizione, abbiamo intervistato lo scrittore Raffaele Lauro, nella sua sperimentata veste di analista politico e di acuto osservatore dello scenario geopolitico mondiale, europeo e nazionale, in particolare dopo la pubblicazione, nel novembre scorso, del quarto volume, che ha concluso il suo “Diario politico 2018/2022”. Diario che abbiamo seguìto, passo dopo passo, nel corso di cinque anni, a cavallo di due legislature, scaricabile, gratuitamente, dal nostro sito e da quello dell’autore (www.raffaelelauro.it). Alle conclusioni del diario, decisamente poco ottimistiche, è seguìto, da parte di Lauro, un inconsueto silenzio, rispetto alle quasi quotidiane prese di posizione politiche, nonché alle riflessioni economico-sociali e culturali, anche nella sua responsabilità di segretario generale, dal 2020, di Unimpresa, l’associazione nazionale datoriale, al servizio delle piccole e medie imprese.
 
D.: Partiamo, appunto, dal silenzio delle ultime settimane. Cosa succede, professore?
 
R.: C’è un tempo per fare pubbliche dichiarazioni e un tempo per tacere e riflettere. E io sto riflettendo. Purtroppo, i nuovi media, i social e la velocità della comunicazione spingono chi ricopre incarichi pubblici o parapubblici a fare continue dichiarazioni, su tutto, spesso più volte nella stessa giornata, una logorrea di ovvietà e di banalità, talvolta persino contraddittorie. Dichiaro, ergo sum! Alla faccia del cogito! In effetti, le mie conclusioni del diario sono abbastanza chiare e non credo, allo stato, di poterle modificare: il mondo è in bilico, l’Europa è in bilico, il nostro paese è in bilico! Anche se non ho mancato di allarmare, a nome di Unimpresa, il governo e la maggioranza che lo sostiene, sul pericolo catastrofico di un esercizio provvisorio del bilancio. Pericolo che sembra essere stato scongiurato!
 
D.: Lei, quindi, si dichiara soddisfatto della finanziaria 2023 del governo Meloni?
 
R.: Affatto. Meglio, comunque, una finanziaria “obbligata”, oggettivamente limitata, che l’esercizio provvisorio. Questa finanziaria ha dimostrato, ancora una volta, un assunto: le promesse elettorali, demagogiche e populiste, definite eufemisticamente “identitarie”, devono fare sempre i conti con il principio di realtà, con la camicia di forza del debito pubblico, dei vincoli europei e del minaccioso carovita, trainato dalla crisi energetica. Non ha fatto eccezione il governo Meloni, perché fare opposizione è ben diverso dal governare una crisi epocale come la nostra. È merito della premier, comunque, l’averne preso realisticamente atto. Anche se, per le piccole e medie imprese, si sarebbe potuto fare di più, sul piano fiscale, seguendo il memorandum puntuale, inviato da Unimpresa alla Meloni e, per competenza, ai ministri.
 
D.: Le sue attese sulla Meloni, quindi, sono andate deluse? Eppure appare sempre più alto il gradimento della premier nei sondaggi!
 
R.: La mia formazione, culturale e politico-istituzionale, non mi ha impedito, in tempi non sospetti, di esprimere reiterati apprezzamenti a Giorgia Meloni per la tenacia coerente di una donna, impegnata, da sola, in politica, contro tutti gli ostacoli e i pregiudizi, talvolta ignominiosi, pronunziati dagli avversari e da femministe, miserabili e velenose, di sinistra. Ne resta testimonianza la mia recensione alla sua autobiografia. Questo non significa diventare un fan acritico di una leader. Io giudico i fatti e gli atti. Il momento della prova vera, per la premier, verrà nei prossimi mesi, nel 2023, su scelte vitali per il futuro del nostro paese: la politica estera, la ripresa economica, le riforme strutturali, a partire dal fisco e dalla giustizia, il Pnrr, l’occupazione, lo sviluppo e il Mezzogiorno. Sulle nomine, inoltre, non di parte, ma da fare solo per la competenza professionale dei prescelti. Sulla capacità, infine, di strappare dalla mente degli italiani l’incubo dell’incertezza. Avere il coraggio e la forza di delineare, in prospettiva, un futuro di rinnovato benessere e di serenità, ancorché problematico. Su questi passaggi fondamentali saranno testati, nel 2023, i sondaggi e il suo personale gradimento! Non presti orecchio ai consueti laudatores del potere vincente, sempre in agguato, e ai quei fedelissimi ideologizzati, forieri di visioni miopi e retrograde, sconfitte dalla storia. In questa sfida, non facile, sarà di grande interesse monitorarne gli obiettivi, le scelte e i risultati.
 
D.: Dal 2018, lei analizza e denunzia la crisi dei partiti e la rottura del patto di fiducia della classe dirigente con gli elettori. Crisi diventata, poi, politico-istituzionale. Basterà la riforma costituzionale della Meloni a risolvere questa decadenza?
 
R.: La crisi attuale, di credibilità prima che politica, dei partiti italiani affonda le sue lontane radici nella fine della prima repubblica, nei fallimenti del ventennio berlusconiano e della sua strombazzata rivoluzione liberale, negli equivoci compromessi della sinistra post-comunista, protesa a occupare solo spazi di potere, e nell’eterno ritorno del populismo demagogico, tabe ereditaria della democrazia italiana, identificato, nella sua massima espressione, con l’epopea  eroicomica del grillismo. Pur beneficiando di una sostanziale mancanza di opposizione, neppure la riforma costituzionale, in senso presidenzialista, preannunciata dalla Meloni, ammesso e non concesso che passasse, in base all’art. 138 della Costituzione, potrebbe, da sola, risolvere la crisi politica italiana. Una crisi che si è aggravata, nel tempo, per i ritardi culturali di tutti i partiti, di destra, di centro e di sinistra. E, ancor più, per la mancata riflessione sui cambiamenti, intervenuti, e ancora in fieri, nella società, nel costume, nell’economia e nelle relazioni tra persone, nell’ambito della famiglia, delle formazioni sociali e del mondo del lavoro. Anche a causa della rivoluzione tecnologia in atto, specie nel campo della comunicazione, che ha frantumato tutti i riferimenti valoriali del passato, senza crearne di sostitutivi. In poche parole, tutti i partiti, non solo il Partito Democratico, non hanno più alcun collegamento con la realtà. Navigano tra le nebbie e si illudono di sopravvivere con sussulti autoreferenziali!
 
D.: Passando dal nostro paese all’Europa, viene confermato, nelle sue valutazioni, il clima di incertezza che grava sul futuro delle istituzioni dell’Unione? Aggravato anche dal recente scandalo delle tangenti?
 
R.: Non solo confermato, ma, per certi aspetti, rafforzato. Nel mio diario ho analizzato, in maniera dettagliata, i limiti costitutivi delle istituzioni dell’Unione, nonché gli errori commessi nel puntare prevalentemente sugli aspetti economici, finanziari e monetari, tralasciando quelli del rafforzamento dell’unità politico-istituzionale. Purtroppo, i contrasti di interessi, in sede economica, non riescono a essere mediati, nonché risolti, se manca un solido potere politico sovraordinato. Da qui ne discende la lentezza e, di frequente, la paralisi delle decisioni, fino all’impotenza, In tempi pacifici e di crescita economica, questi vulnus non risultavano evidenti e restavano come sopiti, anche se la lezione della Brexit avrebbe dovuto insegnare. Ma in tempi di crisi economica e di conflitti bellici, sanguinosi, devastanti, minacciosi, ai confini vitali dell’Unione, i limiti decisionali diventano esplosivi e autodistruttivi. Si può ancora tollerare che, di fronte a un nemico dell’Occidente, come la Russia di Putin, i paesi fondatori dell’Unione continuino a procedere in ordine sparso e a rinviare, oppure ad assumere decisioni non risolutive? E che continuino a pensare, ciascuno, solo al proprio tornaconto nazionale? Lo stesso dicasi per i problemi dell’immigrazione clandestina! E altre vitali questioni. Se poi, oltre all’impotenza, si arriva anche al discredito morale delle stesse istituzioni, con una corruzione quasi sistemica, l’incertezza dilaga! Nessuno può più ignorare, mettendo la testa sotto la sabbia, che l’Unione Europea sia in pericolo e che, in queste condizioni, rischi addirittura la sua sopravvivenza. Ben altro, quindi, che un futuro incerto!
 
D.: Quo vadis, mundus? Con questo interrogativo, angoscioso, quasi apocalittico, lei chiude le sue riflessioni sugli scenari geopolitici mondiali e sul sentimento collettivo di paura, di angoscia e di rinunzia al futuro che travaglia l’umanità. Prevede veramente, citando lo studioso Francis Fukuyama, the end of history and the last man?
 
R.: Non faccio previsioni, esprimo un timore consapevole. Un timore fondato, tuttavia, sull’analisi degli attuali rapporti internazionali, dominati da una guerra devastante, come quella russo-ucraina, che appare soltanto l’anticamera di ulteriori conflitti, sempre più estesi, con l’impiego di armi di distruzione di massa, sempre più sofisticate e senza possibilità di ritorno. La crisi delle democrazie e la prevalenza, a livello globale, di regimi, autocratici e dittatoriali, preludio di nuovi imperialismi, finalizzati all’accaparramento delle risorse naturali, non solo in campo energetico, ma anche alimentare, come l’acqua, segneranno, drammaticamente, il ventunesimo secolo. Da un lato l’impotenza degli organismi internazionali, preposti alla mediazione pacifica dei conflitti, dall’altro la politica degli armamenti e dei nuovi scontri tra le potenze, senza alcuna possibilità di intesa comune per affrontare i devastanti problemi che tormentano l’umanità intera: la fame, i mutamenti climatici, le pandemie, le migrazioni, le persecuzioni religiose, i regimi fondamentalisti e le organizzazioni criminali e terroristiche. La storia dell’umanità è stata lacerata, nel suo procedere, da guerre, carestie, devastazioni, colonizzazioni, persecuzioni, genocidi e da ogni sorta di nefandezze e di violenze, purtroppo anche in nome di Dio o della cosiddetta civiltà, dettate da egoismi e da odi tribali, mai, tuttavia, utilizzando armi senza ritorno, allora non disponibili. La scienza offre, oggi, ai regimi totalitari strumenti di distruzione, che, se dovessero essere impiegati, non consentirebbero scampo per nessuno. Le prime avvisaglie di guerre cibernetiche, e robotiche,  ne sono il lugubre presagio. Pensare solo possibile la distruzione degli spartiti della nona sinfonia di Ludwig van Beethoven, significherebbe ipotizzare, in concreto, the end of history!
 
D.: Allora dovremmo smettere di credere e di sperare? E di scrivere, magari un nuovo romanzo, nel 2023, ispirato al suo universo amore?
 
R.: Tutt’altro. Dobbiamo continuare a credere nella libertà e a confidare nella capacità dell’uomo di amare, di lottare e di salvare, in tal modo, se stesso e il futuro dell’umanità. Lo dobbiamo alla nostra fede cristiana; lo dobbiamo alle nuove generazioni. Sarebbe una vigliaccheria arrendersi! L’arte, la bellezza e la cultura sono il viatico per continuare a nutrire la speranza nell’ avvenire! Anche riprendendo a scrivere, certo, dopo quasi due anni di sabbatico. Continuare il cammino: waiting for… Questo è il mio augurio per il 2023!


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