07/05/2015
In un’intervista esclusiva di Ciriaco Viggiano, Raffaele Lauro traccia un profilo politico, istituzionale e umano di Vincenzo Scotti, dalla formazione culturale, nel secondo dopoguerra, fino ai giorni nostri. Per le rivelazioni contenute, ne viene fuori un documento storico su una fase drammatica della storia politica italiana, che pose fine alla cosiddetta “prima repubblica”.
1- Tra gli anni Ottanta e Novanta, Napoli ha potuto vantare esponenti politici di primissimo piano come Gava, Scotti, Pomicino, Di Donato, Galasso e De Lorenzo: come si spiega questa centralità di Napoli nella politica italiana?
Fin dal secondo dopoguerra, la Campania ha provvisto la Repubblica democratica, nell’alta Amministrazione dello Stato, nella dirigenza dei partiti democratici e negli organi costituzionali, di dirigenti di alto profilo intellettuale, politico e sociale. Basti citare, per tutti, Enrico De Nicola, Giovanni Leone, Silvio Gava e, non da ultimo, Francesco Compagna, fondatore di “Nord e Sud”, allievo, con Vittorio De Caprariis e lo stesso Giuseppe Galasso, di Benedetto Croce e di Gaetano Salvemini, senza dimenticare la “scuola avellinese” di Fiorentino Sullo, Ciriaco De Mita e Gerardo Bianco, le cui radici risalivano a personalità liberali dell’età giolittiana e pre-giolittiana, come Francesco De Sanctis. Napoli, in particolare, capitale del Mezzogiorno, dopo la conquista del comune, da parte dell’armatore Achille Lauro, divenne, nelle università, nelle redazioni, nei sindacati e nei partiti, compreso il PCI, che vantava fior di dirigenti nazionali, come Giorgio Amendola e Giorgio Napolitano, un laboratorio politico, una fucina di dibattiti, di incontri, di idee, di progetti e di impegno politico, per molti giovani democratici, i quali si volevano preparare al dopo laurismo, anche per scardinare, a Napoli, la presenza elettorale, nel popolino, della destra monarchica e dei nostalgici del postfascismo. Per questo, bisognava assediare, con le idee, le roccaforti del populismo laurino: il giornale, la squadra di calcio, la flotta e il clientelismo elettorale. In questa fucina, si imposero, sulla scena politica, napoletana e nazionale, supportati da retaggi familiari, sindacali, professionali o accademici, personalità come quelle di Gava, Scotti, Pomicino, Di Donato, Galasso e De Lorenzo.
2- Scotti è stato soprannominato “Tarzan” per la sua abilità nel saltare da un incarico all’altro, tanto nel partito quanto nel governo. Ed è stato ministro del Lavoro, dei Beni Culturali, della Protezione Civile, degli Esteri e, soprattutto, dell’Interno. Questi incarichi scaturivano da dinamiche politiche oppure erano il riconoscimento per le qualità umane, politiche e amministrative di Scotti? In questo secondo caso, che cosa lo rendeva idoneo a ricoprire incarichi così prestigiosi?
Allievo prediletto di Giulio Pastore, cresciuto nella fervida temperie, prima, della gioventù cattolica di Carlo Carretto e Mario Rossi e, poi, del rinato sindacato nuovo, Scotti fu uno studioso della questione meridionale e delle politiche di sviluppo nelle aree depresse. Scotti è stato, infatti, un giovanissimo segretario generale del Comitato dei Ministri per il Mezzogiorno (presidente Pastore), con il quale collaboravano illustri meridionalisti, come Pasquale Saraceno, Manlio Rossi Doria, Francesco Compagna, Giuseppe De Rita, Giovanni Marongiu, Paolo Sylos Labini, Sergio Zoppi, Massimo Annesi e altri. Divenne anche amico di Carlo Levi a Palazzo Altieri. Quegli anni, a giudizio degli esperti, furono i più intensi e innovativi nel tentativo di affrontare, in modo organico, la questione meridionale. Negli anni ‘53/’54 Scotti aveva fatto parte, con Carlo Carretto e Mario Rossi, della GIAC (Gioventù Italiana di Azione Cattolica), a Roma, in Via della Conciliazione, vivendo un’esperienza straordinaria di rinnovamento, insieme con Umberto Eco, Michele La Calamita, don Arturo Paoli, Emanuele Milano, Pietro Fanner, Wladimiro Dorigo, Dino De Poli e tanti altri giovani cattolici. Nell’aprile del ‘54, l’esperienza dei movimenti della GIAC fu bloccata per intervento del Vaticano. Scotti ha avuto, oltre Pastore, altri due grandi maestri: Mario Romani e Vincenzo Saba. Scotti, quindi, quando fu invitato a candidarsi al Parlamento, aveva tutte le qualità intellettuali e manageriali, uno dei pochi nella DC, per ricoprire i diversi incarichi di governo, a livello locale e centrale, che gli furono affidati, recando, ovunque, competenza, innovazione e superamento dei conservatorismi, specie in materia di lavoro, di sviluppo, di beni culturali, di sicurezza nazionale e di lotta alla criminalità organizzata. Più che uomo di partito era un uomo di governo, fin dagli esordi, e lo dimostrò, in ogni incarico ricoperto, senza timore di sfidare lobby affaristiche, interessi economici parassitari e poteri forti, anche occulti. Il partito, per lui, era uno strumento e non un fine, per cui non si sentiva rinchiuso in una gabbia ideologica, dentro e fuori il partito stesso, privilegiando il dialogo con tutti. Una sorta di pragmatismo ante litteram, frutto di considerazioni realistiche e di analisi scientifica della realtà, che fu facile, per gli avversari, più interni che esterni, far apparire, come una disinvolta ricerca del potere e di alleanze per il potere, nella giungla delle correnti democristiane. Nonostante quelle accuse di stampo giornalistico, in ogni incarico, che gli fu affidato, per le sue qualità, intellettuali, politiche, manageriali e umane, conseguì un bilancio positivo.
3- Quali furono i risultati più importanti dell’azione politico-amministrativa di Scotti da ministro dell’Interno?
L’unificazione e l’ammodernamento degli strumenti istituzionali e legislativi per la lotta alla mafia e a tutte le criminalità organizzate, anche economiche, secondo la dottrina di Giovanni Falcone. L’istituzione della DIA. La legge sullo scioglimento dei consigli comunali, inquinati dalle mafie. Le profonde innovazioni nelle norme penali e processuali per la lotta alla mafia fino al decreto legge del giugno del 1992, dopo l’uccisione di Falcone: decreto che viene ricordato per l’introduzione del cosiddetto 41 bis sul carcere dei mafiosi. L’intuizione di un coordinamento reale tra le forze di polizia, articolato almeno su base regionale, e l’istituzione di un segretariato generale del ministero dell’Interno. Lo svecchiamento della casta prefettizia, con la nomina dei primi prefetti-donna e la rotazione frequente degli incarichi prefettizi, sia al ministero che nelle prefetture. Una politica dell’immigrazione, moderna, che puntava alla creazione di avamposti di selezione degli aventi diritto, nei paesi di provenienza, accompagnata da aiuti economici, e la contestuale, energica dissuasione dell’immigrazione clandestina, in mano alla criminalità, con lo spettacolare rimpatrio, organizzato, nell’agosto del 1991, con un ponte aereo, di ben 24.000 albanesi, arrivati nel porto di Bari, dopo il fuggi fuggi dalle carceri di Tirana. Il progetto per la creazione di una rete di comunicazione pubblica, un’autostrada informatica, sulla quale costruire il reticolato informatico delle Regioni e delle Autonomie Locali. Si sarebbero risparmiati miliardi di risorse finanziarie pubbliche. Un altro importante contributo innovativo venne da Scotti, ministro del Lavoro, in materia di politiche del lavoro. Scotti fu voluto ministro, da Moro e da Andreotti, nel governo di solidarietà nazionale, come ricordava lo stesso Andreotti, per il rapporto coi sindacati, in una congiuntura economica difficilissima. Raggiunse l’accordo sulla riforma delle pensioni, che se, allora, approvata (purtroppo fu ostacolata da resistenze corporative) avrebbe anticipato di venti anni gli accordi Dini e Ciampi. Poi, nel 1983, elaborò il famoso Lodo Scotti, che rappresentò il primo grande accordo triangolare di concertazione, in materia di welfare. Il segno, inoltre, lasciato da Scotti, da ministro dei Beni Culturali, anticipava una incisiva politica di conservazione del patrimonio, come la detassazione, a favore dei privati, i quali mantengono il patrimonio d’arte. A tal proposito, importante fu la convocazione, a Napoli, a Villa Rosebery, della Prima Conferenza dei Ministri Europei della Cultura, quando, in Europa, non era previsto alcun intervento in materia di tutela del patrimonio artistico. E il progetto sugli itinerari turistico-culturali del Mezzogiorno, a cui lavorarono intensamente studiosi italiani e internazionali, inclusi alcuni grandi direttori dei maggiori musei del mondo. La cooperazione internazionale fu la più importante leva di cambiamento, come ebbe a scrivere il grande storico dell’arte Giulio Carlo Argan.
4-Quali ricordi ha degli anni al ministero dell’Interno al fianco di Scotti?
Ricordi tragici (per le stragi mafiose!) e bellissimi, pieni di coraggioso fervore nella lotta alla mafia, quasi da incoscienti, senza più distinguere il giorno dalla notte; il semestre europeo, presieduto, per la sicurezza, da Scotti; il congresso ONU di Berlino; i rapporti bilaterali con gli USA; la festa per la nomina dei primi prefetti-donna; la prima campagna multimediale, contro la mafia, affidata a Maurizio Costanzo e a Maria De Filippi; il “Requiem” di Mozart, a Vienna, diretto da Claudio Abbado e la commozione di Scotti, nel corso dell’esecuzione. Quante iniziative, quanti pericoli, fortunatamente scampati! Quanti progetti, annientati dalla malafede, dagli interessi personali e dall’ignoranza.
5- Scotti è sempre stato visto come un uomo di potere al pari di Antonio Gava. Lo era effettivamente? Fin dove si estendeva il suo potere e in che cosa consisteva?
Se si intende per potere, quello delle clientele elettorali, a livello comunale, provinciale e regionale, Scotti era, in questo, un vero principiante. Anche per le nomine, negli Enti, il suo criterio rimaneva la competenza. Amava dire: una persona competente rimane anche fedele, perlomeno ai valori, più che alla persona; una persona solo fedele, ma ignorante, ti tradisce con il miglior offerente. In piena campagna elettorale, per le politiche del 1992, ebbi l’impudenza di sottoporgli l’immediato scioglimento di alcuni consigli comunali del suo collegio elettorale, in provincia di Napoli, politicamente vicini alla DC. Non batté ciglio, né mi propose rinvii. Accusò la sfida giusta e mi rispose in modo laconico: “Prefetto, mi prepari le carte per il prossimo consiglio dei ministri”. Un mito, indimenticabile! Il senso dello Stato, oggi introvabile! Sciolse anche il comune di Poggiomarino con una giunta DC/PCI e volle andare insieme a Gerardo Chiaromonte, presidente della Commissione Antimafia, a rispondere alle domande dei cittadini, in una infuocata assemblea popolare.
6- Le cronache parlano di un successivo scontro tra Scotti e Gava: quali furono le ragioni di quelle divergenze?
Balle giornalistiche. Nell’ultima fase di Gava, ci fu un’intesa convergente, di cui sono stato personale testimone, prima, con la cosiddetta “Corrente del Golfo”, poi, con la nomina di Scotti a ministro dell’Interno, voluta, proposta e quasi imposta ad Andreotti, proprio da Antonio Gava, il quale, responsabilmente, anche dopo la riabilitazione fisica dalla malattia, ritenne di non poter più assolvere adeguatamente agli impegnativi e pesanti compiti di quel dicastero. Gava mi lasciò, come collaboratore, in eredità a Scotti e Scotti mi fece nominare prefetto di prima classe e, poi, capo di gabinetto. Una scelta coraggiosa e, per certi aspetti, temeraria, avversata, per qualche ora, dai prefetti conservatori, manovrati da Oscar Luigi Scalfaro, che si riteneva il garante dell’ortodossia prefettizia. Scalfaro aveva avversato anche la nomina di Scotti al Viminale, ma Gava e Andreotti non lo ascoltarono. Comprendemmo, poi, le ragioni vere di queste ostilità, che continuarono anche dopo, sulle quali non posso aggiungere altro. Dopo una sola settimana di lavoro, anche gli ostili divennero sostenitori convinti, e, oggi, sia i vecchi che i nuovi prefetti, confermano che la scelta di Scotti, sul capo di gabinetto Lauro, fu una scelta fortunata. Bontà loro!
7- Scotti è stato assolto dalle accuse di corruzione nella gestione della nettezza urbana e per l’assegnazione degli appalti per i Mondiali del 1990, mentre ha beneficiato della prescrizione per abuso d’ufficio nell’ambito dello scandalo SISDE. Contro di lui ci fu un accanimento giudiziario e/o mediatico? Se sì, a che cosa era dovuto?
Molte pagine dovranno essere scritte, presto o tardi, per capire di quali e quanti attacchi strumentali fu oggetto Scotti, durante e dopo il mandato al Viminale, dal suo partito, dalle lobby di potere, dalla criminalità economica, da filoni deviati dei servizi segreti, da potenti concentrazioni industriali, con interessi anche nella stampa. Fu assolto da tutto, in sede civile e penale. E sarebbe stato assolto anche sul caso SISDE, senza dover beneficiare della prescrizione, se si fosse celebrato almeno il primo grado di giudizio. Sul SISDE ci furono anche altre accuse, dalle quali Scotti fu completamente assolto e il SISDE fu costretto a rimborsargli i danni. Non bisogna dimenticare che Scotti, nominato ministro, cancellò immediatamente la prassi di una busta del SISDE per le spese riservate del ministro. Scotti era arrivato al Viminale, con la fama (falsa) di essere soltanto un mediatore e, quindi, inconcludente. La vasta e determinata azione, politica, legislativa e operativa, intrapresa, specie nella lotta alla mafia, colse amici e avversari quasi di contropiede e, così, invece di essere sostenuto in quell’attività meritoria, si cominciò a mormorare su come allontanarlo dal Viminale. Una delle maggiori ostilità, oltre che da Scalfaro, gli venne da quei deputati e senatori, non solo democristiani, che si erano visti sciogliere i consigli comunali nei loro collegi.
8- Le vicende giudiziarie indebolirono Scotti all’interno della DC e del Governo?
Certamente, ma l’uomo non si è arreso mai, neppure nei momenti più difficili. Ha una componente psicologica ammirevole, dovuta ad una rigorosa formazione culturale e ad un carattere positivo, innovativo, creativo e portato a continue sfide, che affronta con un misto di determinazione e di apparente incoscienza. Se dovessi definirlo in due parole: un realista visionario! Lo soccorre anche il disincanto dal potere, che sa essere effimero. Non si nutre di potere, gli basta un libro. In questo, siamo completamente affini. È rimasto giovane, anche a più di ottant’anni, e continua, imperterrito, a lavorare per i giovani, nell’università. Un caso rarissimo e stimabile, di longevità, intellettuale e umana. A chi gli chiede aiuto e sostegno, non risponde mai no, ma, subito, come poter risolvere il problema.
9- Come furono vissute le inchieste giudiziarie e le campagne mediatiche da Scotti e dai suoi più stretti collaboratori?
Con la serena consapevolezza di aver lavorato, sempre, onestamente, per la legalità repubblicana e la democrazia.
10-Quali erano le tue personali sensazioni sulle vicende giudiziarie di Scotti?
Mai avuto dubbi sulla sua personale correttezza e onestà! Disprezza il danaro. Ama solo, veramente, la musica classica!
11-All’interno della DC qualcuno gli voltò le spalle? Chi rimase sempre al suo fianco?
In politica, i voltafaccia sono nel conto. Se ne rammaricò, ma non se ne stupì. Paradossalmente, arrivò a comprenderne le ragioni!
12-Fino al 28 giugno 1992 Scotti fu ministro dell’Interno. Poi, per un mese, titolare degli Esteri. Infine, rassegnò le dimissioni ufficialmente “a causa della nuova linea inaugurata dalla DC circa l’incompatibilità tra il mandato parlamentare e l’incarico di ministro”. Fu realmente per questo motivo? Quanto incisero le voci sulla (presunta) trattativa Stato-mafia e la Tangentopoli milanese (nella quale Scotti non fu coinvolto)? C’era un disegno politico preciso dietro il siluramento di Scotti?
Nel sostituire Scotti al Viminale, la DC commise un errore fatale, che la portò, poi, alla dissoluzione, sull’onda di tangentopoli. Scotti, insieme con Falcone, aveva dichiarato “guerra” alla mafia, interrompendo una “pax mafiosa” che durava da sempre, chiedendo una scelta chiara e non equivoca. Nel marzo del 1992, irriso da tutti, lanciò un allarme di un insieme di iniziative destabilizzanti. Decretò lo stato di allerta prima della strage di Capaci. Pochissimi vollero credergli (era una patacca) e lo accusarono di allarmismo e protagonismo, poi, rileggendo le vicende di quegli anni, molti hanno dovuto riflettere e porsi degli interrogativi, anche se nessuno degli scettici ha avuto ancora il coraggio civile di ammettere l’errore. Lasciarlo al Viminale, avrebbe significato continuare quella guerra, con un costo pesante, anche in vite umane, che la classe politica e i partiti di governo, a cominciare dalla DC, in un momento di crisi di credibilità, dovuta alla corruzione sistemica, scoperta a Milano, non ritennero di poter o di voler pagare.
13- Tra i sei “vicerè”, Scotti è quello che è riuscito a restare in sella anche dopo le inchieste giudiziarie. Nel 2006 è candidato alla presidenza del Consiglio con il Terzo Polo, nel 2008 è nominato sottosegretario agli Esteri del governo Berlusconi, pur non essendo stato eletto con l’MPA: questione di esperienza, competenze, peso politico o giochi politici? Come ci è riuscito?
Come sottosegretario agli Esteri ha lavorato, anche meglio che da ministro. Me lo hanno confermato, di recente, alcuni amici ambasciatori in Sud America. Le qualità personali di Scotti, unite all’entusiasmo, lo rendono idoneo ad affrontare, con successo, qualsiasi impegno di lavoro, anche non istituzionale.
14- Allo stato attuale Scotti conserva un peso nelle dinamiche politiche, regionali o nazionali?
Il disfacimento politico, nazionale e campano, avrebbe bisogno di un regista, come lui, anche se le sue energie sono tutte impiegate, oggi, nell’università, accanto ai giovani e per i giovani.
15- Tu hai intrapreso una crociata contro il gioco d’azzardo, mentre Scotti è diventato persino presidente dell’ASCOB: questa vicenda vi ha allontanati? Come sono i vostri rapporti dopo tanti anni di amicizia, collaborazione e militanza nella DC?
Quella iniziale presidenza è durata poco o niente e si è sempre battuto per una legislazione rigorosa in materia. Scotti mi ha sostenuto, senza riserve, nella battaglia parlamentare contro il gioco d’azzardo. Ho mantenuto e mantengo rapporti di stima e di amicizia con tutti i ministri, con i quali ho collaborato. In primis, con Scotti. Ho presentato il suo libro contro la mafia, in giro, per l’Italia. Lui presenta puntualmente tutti i miei libri. Nutro, per lui, affetto e vera riconoscenza, per la fiducia cha ha sempre nutrito in me e per la sua visione positiva della vita, che ammiro e condivido.