08/08/2015
Caro signor sindaco, cari consiglieri comunali, assessore alla Cultura, presidente della Pro Loco, signor prefetto, senatore, un discorso lungo o un discorso breve? Fu chiesto dai presenti ad un grande scrittore inglese, George Bernard Shaw, nel corso di una premiazione, un po’, come a me, stasera (e George Bernard Shaw era un avaro, era un avaro di parole, era un avaro di contatti, schivava il pubblico, non aveva molte relazioni): “Facci un discorso breve”. George Bernard Shaw rimase interdetto, allora il pubblico gli richiese: “Già che ci sei, facci un discorso lungo”. George Bernard Shaw replicò: “Tante grazie!”. Il pubblico restò ancora una volta interdetto e gli controreplicò: “Allora facci un discorso breve”. E George Bernard Shaw concluse: “Grazie!”
Grazie a voi per tutto quello che avete detto finora di me, ma io sono ancora presente qui, ho le mie attività, i miei interessi, i miei affetti. Noi non parliamo questa sera di uno che è scomparso, ma parliamo di uno che è vivo e questo è Lucio Dalla. Lucio Dalla è ancora con noi, non ci ha mai lasciati. Senatore Lauro, ho letto attentamente il suo libro. Per la verità, mi aveva sorpreso il numero infinito di pagine, cinquecento, una dedica molto benevola, come sempre, e allora pian piano, ho cominciato a leggere e sono entrato negli angoli del libro e la prima domanda che mi sono posto: “E’ centrato il titolo di romanzo?”. Ho riflettuto, poi, un po’, e mi sono detto: “Probabilmente avrei aggiunto romanza, una grande romanza, più che un romanzo”. Intendiamoci, del romanzo c’è tutto; c’è il protagonista, Dalla; ci sono le comparse, ci siamo noi, i sammartinesi, gli amici di un tempo, gli amici di Sorrento e di Manfredonia. Perché romanza? Perché, per prima cosa, si tratta di un libro stilisticamente compiuto; in più, poeticamente soffuso e, infine, fantasticamente realizzato. Queste sono le caratteristiche di questo bellissimo libro del senatore Lauro!
E, poi, mi sono chiesto: “Come mai San Martino Valle Caudina viene associata a Sorrento?”. Sorrento è un centro internazionale, tutti lo conoscono, è la vita bella, è il sole, è il mare, di cui tanto si è parlato poco fa, insieme con un paese rustico come il nostro, fuori del grande giro, posto sotto una montagna. Come mai Sorrento con San Martino Valle Caudina in questo accoppiamento? Perché Dalla amava Sorrento, fino a farne l’angolo vero della sua anima e amava anche questo piccolo paesello, sconosciuto alle carte geografiche?
In questa risposta c’è la spiegazione del “Mistero Dalla”! Perché Dalla aveva il senso panico della vita. E cosa significa senso panico? Amava la natura, amava le cose, aveva una fantastica curiosità, un genio morboso. Era praticamente qualche cosa che trovava pochi riscontri in altre persone, in altri colleghi, in altri concorrenti. E poi mi sono chiesto: “Visto che abbiamo fissato i due termini di riferimento, Sorrento e San Martino, qual è l’altro punto di contiguità tra le due cose?”. L’altro punto di contiguità è la continuità dell’amore di Dalla. Dalla non ha mai tagliato i ponti, né con Sorrento, né con San Martino. In ogni periodo, in ogni momento dell’anno o delle stagioni, Dalla era sempre presente e io lo ricordo qui. Lo ricordano i sammartinesi aggirarsi lungo le nostre piccole strade, a curiosare su una rassegna di presepi, che avevamo allestito e, per ognuno di questi presepi, che poi ci illudevamo venissero dai paesi più lontani del mondo, dall’Asia, dall’Africa, lui aveva una battuta, un motto, una singolare sottolineatura.
L’ultimo elemento che mi ha colpito è stato che, a San Martino, come a Sorrento, Dalla non ha avuto mai fans. Morandi, De Gregori, Zucchero hanno i fans. Dalla era Lucio, non aveva fans, aveva soltanto amici. Noi, caro senatore, conoscemmo Dalla, quando era un irsuto sconosciuto, una mezza scimmia, il quale si aggirava con un clarinetto in mano e che, scompostamente, diseducatamente, si sdraiava sulle sedie o sul divano. Avemmo un primo rapporto fatto proprio dallo spiarci reciprocamente, dal voler scoprire chi fossimo, l’uno per l’altro. E lui, imperterrito, continuò a giocare col suo clarinetto, clarinetto vero, non quello di Arbore, tanto per intenderci, un clarinetto autentico, americano. E noi tutti, dall’altra parte, a guardarlo per vedere fin dove questa marmotta si volesse spingere. E così tenne il concerto, a San Martino, che non fu una cosa eccezionale, se non per un gruppo di giovani, che già lo conosceva o presagiva la grande storia di Dalla. Poi, il nostro rapporto si consolidò a Roma, grazie a tre persone che vorrei citarvi e che cito anche per il senatore Lauro, perché ne faccia memoria.
Uno è già citato nel libro abbondantemente ed è Lorenzo Cremonini, una persona di una gentilezza unica, un manager di prima qualità, un uomo, il quale mi disse una sera: “Se avete bisogno di soldi, per il concerto di Dalla, perché non ce la fate, me li darete quando ce li avrete”. La seconda persona è Michele Mondella, questo lo vorrei sottolineare, perché è l’uomo che, con la RCA, ha creato Morandi, ha creato Dalla. Un manager che io chiamavo il venditore di tappeti, perché appena arrivava in ufficio, si metteva le mani in testa e diceva: “Questo è il primo disco di Lucio, è un capolavoro, lo dovete dare subito in RAI”. Il terzo è quel panzone di Vincenzo Mollica, il quale aveva “sposato” Dalla. Probabilmente, la diversità di Dalla si completava con Mollica. Non era un periodo facile, nemmeno per il signor Lucio col suo clarinetto, c’era Morandi, dai toni gentili e dalla bella voce onesta, c’era il fine politico De Gregori, c’era il poeta De Andrè, c’era il professor Battiato, c’era la “canna”, come veniva soprannominato Antonello Venditti. Era un bel parterre, col quale Lucio si doveva misurare. Ma egli era felice di questa sfida, perché era cosciente dei sui mezzi, di quella benedetta pianola e di quel clarinetto, dai quali, ogni volta, riusciva a buttare giù cascate di note. Lui che di note non capiva assolutamente nulla, perché Dalla non conosceva né una parola di inglese, né una nota musicale.
Adesso che ho detto questo, giudicate voi davanti a quale straordinario personaggio noi ci siamo venuti a trovare!
Non vi farò perdere altro tempo, oltre, vi dirò soltanto una cosa, alla quale tengo, ed è il valore di “Caruso”. “Caruso” resta e resterà, nella storia della musica leggera mondiale, in eterno. Questo è un dato. Se voi ascoltate “Volare”, avete subito la percezione di un capolavoro, ma se ascoltate “Caruso” avete l’impressione dell’eternità. “Caruso” è un pezzo più che eseguito, non diciamo il più cantato, il più eseguito in tutto il mondo e io ho raccontato a Rete 6, poco fa, quale fu la mia interpretazione, quando quella sera Dalla mi disse: “Io ti farò sentire una nuova canzone!”. Ebbi la sensazione di uno strano miscuglio, di un papocchio, tra il napoletano e la lirica, perché è evidente che balza subito alle orecchie Napoli, non c’è niente da fare, il “Dicitencello vuje” ti arriva subito in faccia. E subito un’immagine straordinaria, che ci dice quanto questa canzone sia primigenia, una canzone dell’impressionismo. Quando dice, all’inizio, ricordate tutti quanti i versi, “Qui dove il mare luccica e tira forte il vento”. Questa è una opera di Monet, un’opera impressionista, un’opera che non può essere paragonata a nessun’altra. Allora ho detto tra me e me: “Lucio è riuscito a fondere un genere, che è la grande tradizione della canzone napoletana, che non muore mai, con un altro genere che neppure muore mai, cioè la lirica”. Dalla ha fuso questi due generi e ne ha fatto quel capolavoro assoluto che è “Caruso”.
Allora, cari amici, in conclusione, cari amici della Pro Loco di un tempo, che avete dato una mano, sempre in umiltà, storicizzando qualche iniziativa per questo paese, noi dobbiamo essere la punta ultima di un sforzo che si è concluso, purtroppo malamente, venti anni fa. Allora io, caro senatore, caro prefetto, cari signor sindaco e assessore delegato alla cultura, a nome di quel gruppo, che ha portato il nome di San Martino oltre i confini del proprio paese, con un’immagine positiva, io, a nome di quel gruppo, per quanto senta le mie forze cadere, ormai a ottantaquattro anni, faccio questa proposta. Che, sul palcoscenico dello spazio scenico di San Martino Valle Caudina, sia posta una stele o un ritratto di Lucio Dalla, con una scritta molto semplice: “Qui, la sera del 19 agosto 1986, Lucio Dalla cantò, per la prima volta, in pubblico, Caruso”.
Questo non per ricordare a tutti i grandi studiosi, come il senatore Lauro, quello che è accaduto a San Martino Valle Caudina, perché di ricerche in questo libro ce ne sono - quante sudate carte ci sono! - ma soltanto per un’altra ragione. Perché Lucio Dalla ci appartiene, Lucio Dalla è nostro, appartiene a San Martino Valle Caudina, come a Sorrento, e noi vogliamo che le ore e i giorni del nostro piccolo paese possano essere scandite, poeticamente, da questo ricordo incancellabile.
Oggi, domani e nei tempi avvenire!
Per l’eternità!
Grazie!