09/09/2016
(Il resoconto integrale è stato curato da Riccardo Piroddi)
Pasquale Pisano, Sindaco di San Martino Valle Caudina
Buona sera a tutti. Il mio è solo un saluto di benvenuto a tutti voi, per essere qui stasera, insieme con noi, a celebrare un grande appuntamento: Lucio Dalla, il 17 agosto del 1986, in anteprima mondiale, cantò “Caruso”, nello Spazio Scenico, qui a San Martino Valle Caudina. L’Amministrazione Comunale ha colto questa importante ricorrenza, con l’intenzione di renderla un grande momento di cultura, qui a San Martino. Non a caso, sarà questo un incontro ricco di novità e iniziative culturali, annunciate dai nostri ospiti, che noi abbiamo avuto modo di conoscere in anteprima. E’ chiaro, quindi, che il mio è anche un saluto di ringraziamento a quanti, stasera, hanno preso parte a questo incontro. Voglio salutare il professor Raffaele Lauro, testimone di Lucio Dalla, a livello nazionale. Voglio ringraziare il vice capo della Polizia, dottor Matteo Piantedosi, la dottoressa Golda Russo, il professore Cesare Azan, nonché Gianni Raviele. Mi corre l’obbligo di ringraziare anche gli ospiti in sala: il questore di Avellino, Luigi Botte, la dottoressa Giuseppina Marino del commissariato di Cervinara, che ci sta dando grande aiuto, insieme con il comandante della stazione dei carabinieri, maresciallo Pietro Lonardo, e, infine, il presidente della Città Caudina e sindaco di Airola, Michele Napoletano. Come dicevo prima, la nostra Amministrazione sta puntando molto sulle iniziative culturali. Ci siamo insediati solo da due mesi e, credetemi, abbiamo gettato le fondamenta per alcune importanti iniziative, che realizzeremo nei prossimi mesi e nei prossimi anni. Abbiamo beneficiato di un progetto, legato ad un evento natalizio, con un bando del Turismo, da parte della Regione Campania, che, per noi, è un’occasione importantissima, da non sprecare. L’idea è quella di far diventare la manifestazione dei “catuozzi” natalizi un evento che abbia rilevanza almeno in ambito regionale. Per noi cultura significa crescita per una comunità e affermazione di una comunità. Non a caso, abbiamo proposto un altro progetto alla Regione: profittando di un bando dei Beni Culturali, perché crediamo che la valorizzazione delle risorse di questo territorio possa rappresentare il fulcro della comunità sammartinese, intendiamo trasformare il Villino Del Balzo in una Casa della Cultura, al cui interno, ospitare alcune iniziative che saranno proposte stasera. Per questa ragione, abbiamo deciso di invitare anche il presidente della Città Caudina, perché alcune di queste iniziative saranno sposate, appunto, dalla Città Caudina. Senatore Lauro, il mio è un saluto di benvenuto, ma anche un arrivederci a presto, perché vogliamo far nostre tutte queste sue iniziative su Lucio Dalla, in modo da poter creare occasioni di crescita e sviluppo per la nostra comunità. Grazie!
Michele Napoletano, Presidente Città Caudina
Grazie, sindaco. Buona sera a tutti. Sono qui, per la seconda volta in quindici giorni e per la seconda volta si parla di cultura. Sono contento perché parlare di Città Caudina e di cultura, significa individuare un valore aggiunto da conferire a questa valle. Quindici giorni fa, qui, ho lanciato l’idea di creare una Pro Loco della Città Caudina e, a breve, terremo una riunione per ufficializzare la proposta e realizzarla, senza, però, eliminare le Pro Loco locali. Detto questo, ritengo necessario investire sulla cultura. Il sindaco Pisano sta facendo bene a promuovere tante iniziative di questo genere. La Città Caudina e i suoi sindaci posseggono tutti i requisiti per decollare. Adesso è il momento della fattività e della concretizzazione. Dottor Raviele, di voi ho una grande stima, mi avete fatto una delle prime interviste e ne sono stato molto contento, così come sono contento di essere qui e di ascoltare le proposte che vorrete avanzare per la Città Caudina. Voi avete dato lustro a questa terra e oggi, la vostra esperienza e i vostri consigli sono qualcosa di cui noi dobbiamo fare tesoro. Sindaco, ritienimi a tua disposizione per tutto quanto vorrai realizzare nell’ambito della cultura e non solo. Grazie dell’invito e buona serata a tutti.
Francesco Bello, Assessore al Turismo e allo Spettacolo di San Martino Valle Caudina
Buona sera a tutti! Rinnovo i saluti a tutti i presenti a questa manifestazione. Non potevo immaginare modo migliore per celebrare i trent’anni dell’esecuzione, in anteprima mondiale, del capolavoro di Lucio Dalla, “Caruso”, a San Martino, il 17 agosto del 1986. Molti ricordano il 19 agosto, ma, con una serie di ricerche, abbiamo appurato che la data esatta sia stata il 17 agosto. Questa Amministrazione Comunale apporrà una targa nello Spazio Scenico, in modo che questo importante evento possa restare impresso nella memoria collettiva della comunità sammartinese. Quale modo più significativo per arricchire questa celebrazione, se non con la presenza del professor Raffaele Lauro, uno dei più importanti interpreti della vita e della poetica di Lucio Dalla. Questa sera presenteremo un suo libro, che conclude “La Trilogia Sorrentina”, dal titolo “Dance The Love - Una stella a Vico Equense”. Lo faremo con due interventi, uno della dottoressa e avvocato, Golda Russo, e l’altro del professor Cesare Azan. Passo, infatti, subito la parola a Golda Russo. Grazie!
Golda Russo, Avvocato
Signor Sindaco, presidente del Consiglio Comunale, Palerio Abate, assessore Francesco Bello, professor Cesare Azan, eccellenza Matteo Piantedosi, in primo luogo, vorrei rivolgere il mio più vivo ringraziamento al senatore Raffaele Lauro, per l’onore che, oggi, mi concede. Sono seduta a questo tavolo con un compito difficile: riferire sull’opera che conclude “La Trilogia Sorrentina” di un autore colto e raffinato, un cittadino onorario di San Martino, un amico caro di San Martino. La difficoltà diventa ancor più gravosa perché lo stesso compito spetta al professor Azan, per tutti, il professor Rino, legato a San Martino da profondi vincoli affettivi. Zio Rino, per me, è stato sinonimo di Nunziatella, la storica scuola militare della collina di Pizzofalcone, maestro di studi classici, riservatissimo poeta, intenditore di musica colta, pianista e cantante dalla voce intonatissima, concessa agli amici e alla famiglia, nelle occasioni speciali. Il curriculum di Sua Eccellenza Piantedosi non richiede alcun commento: uomo dello Stato, vice capo della Polizia, funzionario di altissimo profilo istituzionale. Mi sento schiacciata da veri e propri giganti. Conobbi il senatore Lauro un anno fa, lo scorso agosto, in occasione della presentazione del romanzo “Caruso The Song - Lucio Dalla e Sorrento”, seguita dalla proiezione dell’omonimo docufilm. Era un caldo pomeriggio d’agosto e l’aula consiliare era piena di sammartinesi, attenti e curiosi. Oggi, in questa stessa aula, il senatore Lauro è un sammartinese tra i sammartinesi. Il nostro incontro fu segnato da una sintonia immediata. Nell’occasione, pur limitandomi ad accompagnare zio Gianni, impegnato al tavolo dei relatori, ebbi modo di scambiare con lui alcuni pensieri, ricordi sulla Pro Loco, sui concerti tenuti a San Martino dall’indimenticato maestro Lucio Dalla, sulle sue “incursioni” invernali a casa, sulle giornate trascorse in compagnia di mia madre al Castagneto, nell’attesa dell’esibizione serale allo Spazio Scenico. Fu naturale scambiarci i recapiti telefonici e, nel giro di pochi mesi, telefonata dopo telefonata, il mio rapporto con il senatore divenne sempre più forte e significativo, al punto da ritrovarmi coinvolta in un lavoro importante: assistere alla stesura di un romanzo unico, ambientato a San Martino, che vede come protagonista proprio Lucio Dalla. “Lucio Dalla e San Martino Valle Caudina - Negli occhi e nel cuore” è il più grande tributo che uno scrittore potesse rivolgere ad una rassegna, “San Martino Arte”, che ha segnato la storia di questo Comune, divenuto meta di artisti nazionali e internazionali. Lucio Dalla, in particolare, strinse con San Martino e con i sammartinesi un rapporto autentico, libero da sovrastrutture, sincero. Il 17 agosto del 1986, allo Spazio Scenico, il cantautore bolognese eseguì, per la prima volta, il suo capolavoro musicale, “Caruso”, rendendoci parte di una storia straordinaria. Oggi, grazie anche al senatore, ne festeggiamo il trentennale. Per questa sua opera, per questo suo tributo a San Martino, nato quasi di getto, eppur curato in ogni minimo dettaglio, voglio ringraziarlo pubblicamente! Ma torniamo a noi, ad oggi. La lettura del romanzo “Dance The Love - Una stella a Vico Equense”, che conclude “La Trilogia Sorrentina”, per me, inizia l’indomani dei tragici fatti di Nizza. Credo che la storia di Violetta Elvin protagonista, insieme con l’amata costiera sorrentino-amalfitana, mi sia servita da rifugio e da ancora di salvezza. L’appuntamento serale con la danzatrice russa mi ha strappata ad una realtà terribile e violenta. La parabola esistenziale di Violetta è una sintesi perfetta di disciplina, sacrifici, coraggio, bravura, eleganza, tenacia e amore. Aveva appena sette anni quando, accompagnata dal padre (l’uomo che, per primo, le impresse il crisma dell’amore per il bello, declinato in ogni suo aspetto, dal balletto alle opere del Rinascimento italiano) fece il suo ingresso nel tempio della danza classica, il Teatro Bol’šoj di Mosca, per assistere alla rappresentazione de “La bella addormentata” di ?ajkovskij. Quella visione le fu fatale, segnandole il destino. “La bella addormentata”, infatti, aprirà la carriera di Violetta al Bol’šoj, chiudendola, dopo soli dieci anni, a Covent Garden, a Londra. La sua vita, sia quella professionale che quella privata, sembra la vita di un’eroina romantica: dopo l’ammissione alla scuola di ballo del Bol’šoj, iniziano, per Violetta, gli anni della formazione ferrea, dell’acquisizione della disciplina, che nulla lascia al caso. Gli anni degli esercizi alla sbarra, della fatica più estenuante, delle ripetizioni infinite delle tecniche dell’arte di Tersicore. Lo scenario storico non era dei più semplici: la Rivoluzione d’Ottobre stava producendo i suoi radicali cambiamenti. Il socialismo reale e le teorie leniniste disegnavano una nuova Russia, lontanissima da quella della corte dei Romanov. Gli eventi storici si succedevano precipitosamente serbando, per il popolo russo, la catastrofica sorpresa dell’ascesa al potere di Stalin. Il nuovo “Zar” fece piombare la nazione nel terrore più cupo. La paura della delazione, la cultura del sospetto, la follia del nuovo dittatore, che vedeva nemici del regime ovunque, segnarono, irrimediabilmente, la vita di Violetta, costretta a spostarsi da una città all’altra della Russia, per ricongiungersi alla compagnia di ballo. Quei viaggi erano lunghissimi, estenuanti, privi di comodità. Violetta non dimenticherà mai del tutto il senso di paura e di angoscia che, costantemente, viveva in quegli anni. Anche dopo, quando si trasferirà a Londra e, ancora successivamente, in Italia, quel velo di prudenza e di timore non l’abbandonerà. L’incontro con il primo marito, un inglese, Harold Elvin, rappresenterà per lei la prima importante svolta, personale e artistica. L’amore per questo londinese le consentirà di lasciare, non senza difficoltà burocratiche e venature di nostalgia, la Grande Madre Russia, per approdare in Europa, a Londra, appunto, dove la sua carriera conoscerà gli anni più significativi e importanti. Con il Royal Ballet, Violetta Elvin esprimerà la magnificenza della sua danza, arrivando a toccare punte altissime di perfezione coreografica e maturità scenica. Amorevolmente assistita da Ninette de Valois, Madam Ninette, direttrice del Royal Ballet, Violetta Elvin si esibirà nei teatri più prestigiosi del mondo, dalla Royal Opera House di Londra, alla Scala di Milano e al San Carlo di Napoli. I loggionisti londinesi l’adoravano. Ma la vita della giovane danzatrice russa era già pronta per un nuovo colpo di scena. Il suo spirito, indomito e appassionato, la condurrà in una piccola cittadina del Sud Italia, Vico Equense. Una cittadina così piccola da non essere riportata nemmeno sulle carte geografiche, consultate dalla madre Irena, che poté, dopo anni, riabbracciare la figlia proprio a Vico, teneramente accolta dall’uomo che era diventato, nel frattempo, il protagonista assoluto di questa nuova vita, l’amatissimo Fernando. Figlio di una ricca e benestante famiglia vicana, Fernando Savarese rappresenterà, per Violetta, l’amore assoluto, punto di riferimento di una vita e per la vita. Fernando amò Violetta di un amore travolgente e passionale e ne fu ricambiato. Per questo amore Violetta non solo abbandonò, contro il parere di tutti, una carriera in piena ascesa, ma sfidò le convenzioni sociali che attardavano l’Italia, in particolare quella del Sud, negli anni ‘50. Fernando seppe attenderla presagendo, forse, l’ineluttabilità di quel legame che li avrebbe uniti per sempre. La forza, la profondità di questo sentimento rappresentano, a mio avviso, la chiave di lettura della storia personale e pubblica dell’artista. Le sue scelte saranno fatte sempre e solo per amore. Amore per la danza, per il bello, per l’arte, per la natura, per Fernando! Per quest’uomo, Violetta deciderà di non esibirsi più, di lasciare la danza e il teatro che è “geloso delle persone che ne fanno parte e non può dividersi con altre passioni”. Ecco. La storia di Violetta Elvin è tutta nel titolo del romanzo, “Dance The Love”, Danza e Amore. Violetta e Fernando dedicheranno la loro vita l’uno alla cura dell’altra, vivendo tra Vico Equense e Londra. Avranno un figlio che li unirà, se possibile, ancora di più. La loro sarà una vita intensa, ricca di amicizie e di frequentazioni importanti. Il jet set londinese sarà di casa a Villa Savarese e Vico Equense sarà il palcoscenico da sogno che accoglierà i tanti amici internazionali. Vico Equense, la costiera sorrentino-amalfitana, in realtà, sono i coprotagonisti di questo romanzo. L’omaggio che il senatore continua a fare alla terra natia è struggente. Ne descrive luoghi, odori, colori, umori e sfumature. Il Monte Comune, così caro a Violetta, le isole Li Galli, Positano, la meraviglia del mare che si confonde con il cielo e, ancora, l’incanto del Golfo di Napoli con le isole di Capri, Ischia e Procida. Tutto descritto con maestria non comune, con l’abilità non meramente tecnica dello scrittore consumato e con una rara sensibilità poetica. Sensibilità che solo un figlio può esprimere per la propria terra madre. Il racconto della natura, delle bellezze della costiera sorrentino-amalfitana è senza enfasi: procede con stile asciutto e senza cadere mai nella retorica. Le descrizioni ricordano le pennellate che gli impressionisti francesi imprimevano sulla tela. Tutto si fa colore, luce e misura! L’amore per questo angolo di paradiso ripercorre, con tutta la sua potenza, le pagine del romanzo. Non ne fa semplicemente da sfondo, ma ne diventa coprotagonista. Il tributo che il senatore Lauro ha reso a Sorrento e alla costiera sorrentino-amalfatina, con la sua trilogia, rappresenta il segno evidente, la prova inconfutabile, di quanto sia legato alla sua terra, a questi luoghi straordinari. Le storie degli artisti che ha conosciuto e che ha immortalato nei suoi romanzi sarebbero state certamente diverse, se non si fossero svolte tra Sorrento, Amalfi e Vico Equense. Più volte, in questo suo ultimo romanzo, si legge che: “Una ballerina è come una pietra preziosa, se la vedi da sola è bella ma, solo se viene incastonata in un anello diventa bellissima”. L’anello per le sue opere, per i suoi romanzi, è certamente la costiera sorrentino-amalfitana. A lei, senatore e, se mi è concesso, alla nuova Amministrazione Comunale, che ha reso possibile quest’incontro, in particolare al neo sindaco Pasquale Pisano, amico di sempre, all’assessore Francesco Bello, cui mi legano sentimenti di profonda amicizia e stima, e al presidente del Consiglio Comunale, Palerio Abate, fratello e punto di riferimento per me, voglio augurare ciò che Shankar, devoto collaboratore indiano della signora Violetta, le augura il giorno del suo compleanno ovvero il dono delle quattro grazie: una lunga vita, un bell’aspetto, la tranquillità e l’energia. Continui a volerci bene, senatore, come San Martino e i sammartinesi ne vogliono a lei. Grazie!
Cesare Azan, Docente di Materie Letterarie
Autorità, signore e signori, a pagina 223 dell’opera di Raffaele Lauro si legge, sono parole di Zarko Prebil, un coreografo-ballerino, amico di Violetta Prokhorova, soprattutto negli ultimi anni della sua vita, a proposito della sua vicenda biografica: “Piccola storia? Affatto, Violetta! È una storia così bella, così interessante, così raffinata, così colta, che si intreccia con tutto il quadro storico-politico del Novecento. Questa storia non può cadere nell’oblio”. E allora, il primo merito di questo libro è aver sottratto questa storia all’oscurità dell’oblio e averla trasmessa, un po’ come facevano gli antichi aedi di stampo omerico, raccogliendo, dalla viva voce dei vecchi di un tempo, le storie, poi trasmettendole, quindi, scrivendo e testimoniando. Questa testimonianza è preziosa, perché ci regala avvenimenti che riguardano la vita di una donna esemplare. Con questo libro, Raffaele Lauro completa la sua trilogia sorrentina, come direbbe Elias Canetti, lo scrittore bulgaro di lingua tedesca, i tre rami di un grande albero, che li abbraccia e li nutre tutti. Lauro, la definizione non suoni affatto impropria o fuor di luogo, è un irregolare delle lettere, ma lo erano Carlo Emilo Gadda, ingegnere, Ettore Schmitz, in arte Italo Svevo, industriale. Il professor Lauro ha svolto altre professioni e attività istituzionali. Numerosissime pubblicazioni giuridiche ed economiche, quattordici esemplari di narrativa. Si accosta alle lettere, quindi, non da professionista. Felix culpa, perché, se mancano l’espressione paludata, la retorica, l’ansia della perfezione stilistica, tanto meglio. E qui vengono fuori l’enorme qualità dell’opera e del libro, l’entusiasmo, la genuinità della narrazione, la spontaneità e, poi, quello che colpisce subito, la straordinaria attenzione ai particolari, alle figure, ai personaggi, agli eventi, narrati con una dovizia così minuziosa, che sembrerebbe sopraffare, inizialmente, il lettore. A meno che, il lettore intelligente non capisca che si tratta soltanto di un travaso d’amore e di un grande impeto di passione, che lo porta a non tralasciare nulla di ciò che ha letto, frutto di un dovere e di un atto profondo d’amore. Quindi, come per la protagonista, la danza e l’amore, così per Raffaele Lauro, i luoghi della sua origine sono l’amore profondo. Quest’opera, che l’autore definisce storia romanzata, cos’è? Una biografia? Sappiamo che la definizione di biografia esula da un ambito strettamente letterario. Questa biografia ha notevoli squarci lirici, notevoli impennate di natura emozionale e, come tale, non può essere definita freddamente una biografia. Un romanzo di formazione? Sì, perché noi seguiamo la vicenda di Violetta nel suo farsi, nei suoi drammatici eventi. Violetta cresce, si sviluppa, diventa donna dinanzi a noi e, quindi, anche questo aspetto è presente nell’opera. Forse, la vera natura di quest’opera è quella di un romanzo-saggio, perché tante linee rosse la attraversano a fondo e la caratterizzano. Mi ricordo il grande padre della storia, Erodoto, il quale, intorno al nucleo della sua narrazione storica, si interessava di tutto, di abitudini, di costumi, di religioni, di cerimonie sacre, dei popoli che vistava, affollando, ma, nello stesso tempo, fornendo al lettore un quadro ampio ed esaustivo del contesto in cui le azioni si svolgevano. Questo supporto non è mai superfluo, ma è sempre necessario, perché serve a inquadrare e sistemare il ruolo della protagonista. Quali sono, dunque, queste linee rosse complementari? Innanzi tutto, il pensiero politico è vivissimo nell’autore, a supporto della posizione di Violetta, un odio profondo per i totalitarismi, per le dittature, per la politica basata sulla violenza. Poiché Violetta visse la prima parte della sua vita, nell’età staliniana, questa denuncia si registra spesso, con toni molto aspri e decisi, che, a dire il vero, mi trovano pienamente d’accorso. Vi leggo una descrizione di Stalin: “Un dittatore dispotico e crudele. Entrava con le armi in pugno della violenza, della prevaricazione, della sopraffazione nell’intimo dell’esistenza delle persone, nei loro moti segreti, nella sfera intangibile della loro libertà di pensiero, delle loro passioni, delle loro speranze. Venti milioni di morti, nemici di classe, compagni che non si allineavano, eliminati tutti con esecuzioni capitali, senza processo”. L’altro filo rosso che attraversa l’opera, con una presenza notevole, è l’amore per l’arte, che si dipana attraverso tre strade. Il grande amore per il balletto, che è il punto di riferimento della protagonista e che consente all’autore di fornirci un gran numero di informazioni sulle tecniche, sui personaggi e sulle rappresentazioni più importanti del balletto nella seconda parte del Novecento. Poi, la musica. Violetta amava, in particolare, ?ajkovskij, conobbe Šostakovi? ed ebbe stima per Rachmaninov. Questo denso e profondo colloquio con la musica, continuamente richiamata e orientata ad alimentare quell’aspirazione profonda di Violetta ad una suprema forma di armonia, realizzata attraverso la bellezza. Il terzo momento è quello della pittura. C’è un amore profondo e viscerale, con descrizioni notevoli e precise del Rinascimento italiano, di Firenze. Sappiamo che il vero Rinascimento europeo è stato quello italiano e quello di Firenze. A dimostrazione dell’impianto didascalico dell’opera e, quindi, del romanzo-saggio, c’è da aggiungere che le ultime cento pagine del libro sono costituite da un indice preziosissimo di indicazioni su nomi, ambienti e, addirittura, su strutture e rappresentazioni dei vari balletti citati. Una piccola enciclopedia della danza, che diventa di grande utilità per il lettore. Per un’opera così composita ci voleva uno stile particolare, che non è monotono, non è unico. Direi che si tratta di un impianto narrativo polimorfico, in cui l’autore è ora narratore esterno, onnisciente, ora, con frequenti irruzioni nel corso della narrazione, si affianca alla storia della protagonista, proponendo giudizi e valutazioni, soprattutto quando lo spanning narrativo, cioè la drammaticità del racconto, si fa più elevato e il contesto diventa, direbbe il grande nostro irpino, Francesco De Sanctis, situazione, ovvero momento ben preciso, delineato nella sua storia viva di pathos e di drammaticità. Nella seconda parte, prevale il dialogo, perché l’autore preferisce far in modo che, progressivamente, Violetta si esprima da sola e racconti da sé la propria vita. Quindi, Violetta diventa persona loquens, diventa l’io narrante, a cui l’autore volentieri cede lo scettro nella regia narrativa. E’ come se, a volte, le sue parole fossero non sufficienti ad esprimere la carica di emozioni, le paure e le gioie, che la protagonista ha dentro di sé. Dal punto di vista tecnico, scusate l’insistenza sull’aspetto strutturale, si tratta di definire la cosiddetta formalizzazione, cioè il punto di vista della narrazione, che viene specificato come punto di vista a focalizzazione zero, proprio per questa capacità onnisciente dell’autore di eclissarsi e di inserirsi. C’è qualcosa ancora di importante, perché esiste anche una focalizzazione interna, nel senso che non è solo Violetta a parlare, ma molti altri protagonisti. Per cui, le voci diventano una polifonia, una corale e tutto si intreccia in un gioco di relazioni e di scambi, che danno vivacità e movimento all’opera e alla narrazione stessa. Poi, c’è il tentativo, da parte dell’autore, di giungere a quello che potremmo definire un rispecchiamento linguistico dei vari personaggi, perché lui li fa parlare - i personaggi! - a seconda della loro formazione culturale e della loro appartenenza al ruolo sociale, inserendo, e ciò rappresenta un’altra novità, frequenti lessemi e piccole espressioni in lingua non italiana. I due sposi parlano russo, l’autista che li accompagna nella prima visita dei luoghi, a Vico Equense, parla un inglese maccheronico, uno slang, come quello che si parlava alla fine della seconda guerra mondiale, quando vennero gli americani in Italia. Tra l’altro, è un’esperienza che, nel poema “Italy”, aveva già tentato, agli inizi del Novecento, Giovanni Pascoli. In tal modo, l’azione si vivifica, i caratteri si delineano meglio e, soprattutto nella seconda parte, Vico Equense diventa quel palcoscenico che Violetta ha abbandonato. I personaggi le si affollano attorno, la circondano. Pur nella sua scrupolosa ritrosia, ella sente vivere dentro di sé il paese che la ama e la conosce. La differenza è questa: ora i personaggi sono viventi e reali, non recitano. Il vero si è imposto sul verosimile. Non potrei, però, concludere questa analisi senza soffermarmi qualche altro minuto su Violetta. Una donna straordinaria, viva e presente, in ogni momento della sua esistenza, anche quando la quotidianità di moglie e di madre le ha sottratto le luci del protagonismo della ribalta e del successo. Le stigme dolorose del Ventesimo secolo, le tirannie, le guerre, le ha vissute tutte, ne ha portato i segni indelebili, ma non è mai stata travolta dagli eventi e dalle sciagure. Fin dalla giovane età è stata un albero con radici ben piantate, esile, tenue, col suo copro di farfalla, ma decisa, volitiva, forte, come chi si sente una predestinata. Attraverso le dispute con il padre autoritario, in era staliniana, ha forgiato il suo carattere, individuato i suoi obiettivi, non ha mai smarrito la strada che le sue speranze le indicavano. In fondo al tunnel buio c’era la danza, il balletto. Le vicende politiche e la paura di ritorsioni le consigliarono di assumere, come nome d’arte, il cognome del primo marito, Elvin. Ma Violetta non ha mai smarrito la sua identità interiore di donna innamorata dei valori profondi e autentici della sua patria, la Grande Madre Russia. Ha cercato sempre di realizzare, nella sua vita, la pienezza dell’amore, in tutte le forme e le dimensioni possibili. Questo sentimento l’ha guidata in ogni momento della sua esistenza, quando ha combattuto, in Russia, contro l’oscurantismo culturale, quando, in Inghilterra, si è data alla danza, con umiltà e tenacia, senza aspirazioni a grandi successi. Le tre tappe della sua vita, Russia, Inghilterra e Vico Equense, corrispondono alle stagioni dell’anno e della nostra vita. La Russia è l’inverno, con il dolore e le sofferenze; l’Inghilterra è la primavera, la rinascita; Vico Equense è l’estate della felicità e della pienezza. L’autunno lo sta vivendo adesso e le auguriamo che sia una rinnovata primavera. La vita di Violetta sembra un scatola cinese, le sorprese escono, gli obiettivi crescono di momento in momento. Alla base della sua scelta c’è una rinuncia, molto dolorosa, per il suo Fernando, come Edoardo VIII aveva fatto per Wallis Simpson. Al bivio della vita, al momento della inconciliabilità delle scelte, Violetta optò per la dimensione, in cui il suo destino di donna si sarebbe potuto realizzare in pieno, felice, serena e contenta. Grazie al libro che Raffaele Lauro ci offre oggi, mi piace proporre, come ulteriore intermediario, questo esempio di donna all’universo femminile, qui presente e fuori. Leggevo che da poco, Lorenzo Braccesi, professore emerito di Storia Antica, ha pubblicato un libro, dedicato a Livia, la moglie di Augusto, la quale alcuni, come Tacito, dipingono quale la vera organizzatrice politica del tutto, altri, come una donna schiva e silenziosa. C’è una stranissima dedica: “A tutte le donne come Livia, da cui guardarsi”. È certamente polemica, ma Violetta non è una donna da cui guardarsi. E’ il contrario. E’ l’esempio a cui guardare, perché ha saputo coniugare ansia e aspirazioni alle più alte e belle forme di vita, con l’accettazione delle incombenze di donna di casa, di moglie e di madre, con l’umiltà di una stella che ha continuato a brillare di luce diversa. Così, in lei, si sono sistemati e hanno coabitato, vivi e presenti, i cittadini di Vico Equense e, poi, nel ricordo, i grandi amici di un tempo, quelli del mondo della danza, che lei ha conosciuto: Margot Fonteyn, Rudolf Nureyev, il grande Léonide Massine e Maria Callas, al cui senso tragico della vita, Violetta opponeva sempre la fiducia e l’entusiasmo nelle capacità dell’individuo di crearsi e costruirsi, da solo, il proprio destino. Faber est suae quisque fortunae, cioè, ciascuno è artefice della propria sorte. Così, ella è un esempio per le donne del nostro tempo, tanto tese alla giusta conquista di ruoli sociali significativi, ancora, forse, incerte nelle scelte e negli obiettivi. Però, consapevoli e decise, alle quali l’universo maschile ha saputo contrapporre, fino ad ora, solo odio e feroce violenza, non la libera competizione di due modi diversi, ma egualmente necessari al progresso sociale. C’è da chiedersi: scegliendo l’amore per un uomo al posto dell’amore per la danza, Violetta fu veramente felice? Seppe dividere a fondo la sua anima, senza sentirsi lacerata? Sappiamo che, per lei, danza e vita si fusero, l’amore per tutto quello che faceva e sognava, ma ci fui mai, in lei, rimpianto, pur essendo stata così libera di scegliere? La risposta la fornisce il libro, la cui parte conclusiva termina con un sogno. Violetta immagina, a novantadue anni, di essere svegliata, nella notte, da una telefonata, da Mosca, dal direttore del Teatro Bol’šoj, il quale le dice che la prima ballerina non potrà danzare e, quindi, richiede il suo intervento. Violetta accetta, ad onta dei suoi novantadue anni, si lancia libera nella danza, non sente il peso degli anni, le membra le sono fresche, sveglie, agili e riceve l’applauso di tutti quelli che affollavano le tribune, vivi e morti. Non è un caso che le ultime parole del libro siano quelle del marito Fernando, il quale, vedendola ballare lì, in quell’occasione, le dice: “Brava, sei stata perfetta! Sei bellissima!”. A mio parere, questo finale merita una diversa interpretazione. Mi è venuta in mente una bellissima poesia dell’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, poeta americano. “Quando ero giovane, avevo ali forti e instancabili, ma non conoscevo le montagne. Quando fui vecchio, conobbi le montagne, ma le ali stanche non tennero più dietro alla visione. Il genio è saggezza e gioventù”. L’inconciliabilità della giovinezza con la vecchiaia, l’inesperienza della giovinezza che non potrà fondersi con la conoscenza della vecchiaia. Il genio, la perfezione, nasce dalla saggezza, che è la maturità. Nella gioventù ci sono le forze. A mio parere, in quel momento del sogno, Violetta vorrebbe realizzare il suo irrealizzabile sogno. La danza e l’amore insieme, con lei protagonista sul palcoscenico, e l’amore della sua vita che, in platea, l’applaude. Quello, secondo me, fu un rimpianto, che Lauro ha colto nell’animo della protagonista, mai espresso, ma che traspare, con molta chiarezza, dal libro. Anche noi oggi avremmo potuto coltivare ed esaudire un sogno: avere donna Violetta qui, tra noi, per ringraziarla di aver costruito la sua vita in maniera così semplice e significativa. Una stella che ha saputo spegnere con umiltà la sua luce, quando è arrivato il tempo della grande decisione. Un miracolo, però, oggi, lo abbiamo fatto lo stesso, con il nostro affetto, la nostra presenza, la nostra attenzione e la conoscenza di questa vicenda, che le belle pagine del libro di Raffaele Lauro ci hanno consegnato. Donna Violetta Prokhorova Elvin Savarese è qui con noi, sorridente, vitale, come sempre agile, tenue farfalla, che si libra, liquida, nell’aria leggera, tracciando i suoi eleganti movimenti nell’esauribile regno della bellezza della danza. È lei, oggi, la protagonista, così lontana eppur presente. Salutiamola con un caloroso applauso. Capirà di essere ancora ebbra di gioia, regina del palcoscenico di un tempo che fu, tra i suoi nuovi ammiratori, già irriducibili. Noi! Grazie!
Matteo Piantedosi, Vice Capo della Polizia di Stato
Buona sera. Vorrei dire al professor Azan che se Raffaele Lauro è un irregolare della scrittura, io sono un abusivo della critica letteraria. Cercherò, stasera, di portare il mio contributo, come ho sempre fatto, in circostanze come questa. Vorrei fare una premessa. Saluto e ringrazio il sindaco e l’Amministrazione Comunale di San Martino Valle Caudina, da poco insediata e alla quale faccio i migliori auguri di buon lavoro, per onorarmi di questi inviti. E’ la terza volta che sono qui, per la presentazione di un’opera letteraria del mio amico, prefetto e collega Raffaele Lauro. Nelle precedenti occasioni, c’era un legame forte, sullo sfondo della bellezza della Penisola Sorrentina: il rapporto di Lucio Dalla con quella splendida parte di territorio, con cui mi sono incrociato e che ho potuto apprezzare, per tradizione familiare, in quanto mia madre era napoletana, con il verde delle nostre terre caudine. Quindi, c’era Lucio Dalla che, in qualche modo, ho conosciuto personalmente e che ha segnato un’altra parte della mia vita, trascorsa nella città di Bologna. Oggi, tutto questo non c’è, ma è rimasta la Penisola Sorrentina, sempre bella, il tratto unificante de “La Trilogia Sorrentina” di Raffaele Lauro. Poi, c’è questa storia bellissima, su cui potrò dire qualcosa. Vorrei, quindi, parteciparvi, brevemente, per non tediarvi oltremodo, alcuni spunti di osservazione, suggeriti dalla lettura di questo libro. Premetto, e lo dico non per compiace Raffaele Lauro, ho letto e leggo sempre i sui libri, scritti molto bene e molto piacevoli. In questo libro, ho trovato dominante la componente storica e i riferimenti al contesto storico, che segnano la vita di Violetta. Il grande legame con la sua patria e con le vicende storiche che la Russia, poi Unione Sovietica, attraversò sotto il regime stalinista. Il primo spunto riguarda una certa inesorabilità, ineluttabilità delle vicende umane. C’è una parte del libro, in particolare, mirabilmente tratteggiata dall’autore, in cui è narrata una fase importante della gioventù di Violetta, quando è avviata agli studi della danza, alla sua formazione, che l’avrebbe portata, poi, ad essere una ballerina di fama mondiale. Ad un certo punto, tutto questo incrocia un momento storico preciso. E’ il 1939. La madre riferisce a Violetta della visita, a Mosca, del ministro degli Esteri del Terzo Reich, von Ribbentrop, che avrebbe portato alla firma del crudele patto Molotov-Ribbentrop. Un accordo che segnò l’ipocrisia e tutta la negatività di quei due regimi, che finsero di accordarsi, ben sapendo che, prima o poi, si sarebbero aggrediti, perché, nella loro grettezza ed estremismo, li accomunava un’idea di morte, che li avrebbe portai allo scontro finale. Questo è lo sfondo di una scena bellissima, un dialogo tra Violetta e la madre, in cui questa le dice: “Bene, sono contenta, perché la guerra è rinviata di un anno e tu potrai studiare ancora al Bol’šoj”. Questo porta un po’ di felicità nel contesto familiare, seppure la madre le dica questo ben sapendo che, alla base di quell’accordo scellerato, ci fosse la spartizione della Polonia, la sua madre patria. Questa donna preferisce l’amore materno, per assecondare le potenzialità della figlia, rispetto all’amor patrio, visto, in quel momento, come leso, distrutto da quel patto sciagurato. Il mio secondo spunto è rappresentato dall’importanza delle persone che il buon Dio ci fa incontrare nella vita. La crucialità che, nella vita di Violetta, ha avuto il padre. Io lo vedo come una figura fondamentale. Un padre, il quale, in qualche modo, aderisce o, comunque, non contrasta il regime comunista, che si imponeva in quagli anni, insieme con l’idea socialista, intesa come regime staliniano, e, allo stesso tempo, riesce ad esprimere, anche in una abitazione molto piccola, due stanze, una sorta di comune, creando un piccolo angolo, in cui concentra tutte le espressioni della sua sensibilità verso l’arte e verso la cultura: i libri, i quadri, le icone e i preziosi mobili di famiglia. Lauro rende molto bene questo apparente contrasto tra la vita massificata e impoverita, propria del regime comunista, e questo angolo, dove le menti rimangono sveglie. Anche l’anima della figlia rimane sveglia, creando il presupposto per quello lo slancio artistico che, poi, l’avrebbe caratterizzata. Un legame profondo, tra Violetta e l’ispirazione artistica, proveniente dalla sensibilità del padre. La mia terza osservazione risulta essere quella sulla grettezza dei totalitarismi. Ho trovato molto interessante il romanzo anche da questo punto di vista. Come dicevo prima, scherzando, sono un abusivo della critica letteraria, ma, allo stesso tempo, sono un buon lettore di saggi storici, anche romanzati, che oggi vanno per la maggiore, specie sulla classicità storica. Ho trovato molto efficace la ricostruzione fatta da Lauro sullo sfondo delle vicende storiche di quell’epoca, soprattutto nel rappresentare, senza fornire giudizi, la grettezza dei totalitarismi. Violetta muove i suoi primi passi come danzatrice, in un momento storico in cui si scontrano due giganti del totalitarismo: la Germania nazista e la Russia stalinista. Pensiamo alla contabilità dei morti, conseguenza dell’affermazione e dello scontro, prima dell’uno e, poi, dell’altro: decine di milioni di morti, tra l’evento bellico in sé e le purghe staliniane. Il tutto, per reprimere la libertà dell’individuo, al libertà di esprimersi, in modo che l’io possa diventare qualcosa da contenere in un barattolo e tappato, tenuto vincolato. Ciò viene rappresentato molto bene nel romanzo. La miseria dei totalitarismi, che dobbiamo tener sempre presente, non solo per amore della rivelazione storica o per la memoria fine a se stessa, ma perché diventi insegnamento per noi, in quanto, come sosteneva Giambattista Vico, possono verificarsi corsi e ricorsi storici. Dobbiamo, inoltre, avere anche l’attenzione di non immaginare che queste vicende storiche abbiano riguardato parti marginali o lontane della storia. Si parla della Germania, che è stata la patria del Romanticismo, e della Russia, che, come viene descritto nel romanzo, ha saputo coltivare le arti in un modo unico al mondo. In quegli stessi luoghi sono verificate quelle terribili vicende. Lì, si è diffuso questo virus. Ecco perché bisogna prestare attenzione a tutto ciò, anche in previsione del nostro futuro. Oggi, dovremmo affermare il concetto di diffidenza dei totalitarismi, soprattutto perché questi, in origine, avevano dietro grandi idee di riscatto sociale, che, poi, si sono rivelate ideologie negative e diaboliche. Un’ultima osservazione: lo spirito dell’uomo libero che vince sempre. Violetta, spirito libero, ne è la dimostrazione. La ricerca della sintesi tra gli opposti nell’armonia, requisito necessario in tutte le esperienze umane. Questo dobbiamo tener presente, anche per affrontare i nuovi difficili scenari storici, sempre a testa alta, senza paura, per affermare la libertà dell’uomo.
Raffaele Lauro, Scrittore
Buona sera a tutti i presenti! Ritorno in questo luogo sacro per i sammarinesi, perché è il luogo della rappresentanza democratica di una comunità, che la madre di Golda, nei nostri primi colloqui, definì una comunità politicamente sensibile, una comunità colta, intelligente, come tutti i rappresentanti irpini, ai più alti livelli istituzionali, che si sono succeduti negli anni della nostra storia nazionale. Con sentimenti di sincera gratitudine, ringrazio il sindaco, Pasquale Pisano, il quale ha voluto confermare la continuità del mio legame con questa comunità e con la precedente Amministrazione Comunale. Saluto l’amico Mimmo Petecca, grato per quello che ha fatto in passato, per il modo in cui ha saputo creare questo ponte ideale, insieme con l’ex sindaco Pasquale Ricci, tra Sorrento e San Martino Valle Caudina. Grazie, sindaco, per l’intelligenza, per il garbo e per lo stile. Viviamo tempi in cui lo stile, anche dei rapporti umani, è decaduto. Ho sempre auspicato un ricambio della classe dirigente, della classe politica, lo auspico tutt’ora e lo auspicherò sempre, purché ci sia rispetto reciproco e lealtà, anche tra avversari politici. Ringrazio il giovane assessore Francesco Bello, brillante figlio di questa terra, il quale ha organizzato questo nostro incontro, per celebrare il trentesimo anniversario dell’esecuzione pubblica del capolavoro di Lucio Dalla, “Caruso”, merito di una personalità che ha arricchito e arricchisce la storia di questa comunità, rappresentandone un patrimonio ideale: Gianni Raviele. Sono felice della presenza del presidente della Città Caudina, il dottor Napoletano, perché concluderò questo mio intervento con delle proposte, già oggetto di riflessione con il sindaco Pisano e con l’assessore Bello. Il patrimonio costruito da uomini, come Gianni Raviele, il patrimonio Dalla, non deve andare perduto, non lo disperdete. Rendetelo, piuttosto, un grande attrattore, non solo culturale, ma turistico, di questa comunità. Donna Violetta Prokhorova Elvin non è qui, ma mi ha pregato di portare il suo saluto all’Amministrazione Comunale e a tutti gli intervenuti. Una donna straordinaria. Chi di voi vorrà andare su internet e guardare il reportage della presentazione del mio romanzo, a Vico Equense, in anteprima nazionale, il 27 luglio scorso, potrà, visivamente, cogliere l’eccezionalità di questa donna. Arrivata a metà della manifestazione, suscitando una standing ovation, sul sagrato della Chiesa della SS. Annunziata, al tramonto, punto di vista unico sul Golfo di Napoli, distante pochi metri da Palazzo Savarese, dove donna Violetta ha vissuto e vive felicemente da sessant’anni. Guardatelo e ascoltate le sue parole. Non è qui donna Violetta perché, a novantatre anni, è rimasta un’artista: non esce di casa prima delle otto di sera, non riceve nessuno prima delle cinque di pomeriggio. Il suo sancta sanctorum personale è la sua camera da letto. Un santuario della memoria. La camera da letto di una donna russa è un museo vivente della sua vita e della sua storia. Donna Violetta si è mantenuta così giovane perché, a Palazzo Savarese, non ha mai utilizzato, in sessant’anni, un ascensore. Sale e scende, a piedi, le quattro rampe di scale, due volte al giorno, da sola. Per cui, quando io, insieme con Riccardo Piroddi, andavo a intervistarla, la dolce signora, dall’alto della scalinata, vedendomi ansimare, mentre salivo, mi raccomandava: “Senatore vada piano! Non si agiti, le può far male!”. Questa è donna Violetta. Mi ha ricevuto per intervistarla in moltissime ore di registrazione, nelle quali è conservata la memoria storica di una straordinaria vicenda umana e artistica. E’ stata la prima volta in cui, insieme con Riccardo, l’unico ammesso alle registrazioni, donna Violetta ha raccontato la sua storia. Glielo hanno chiesto giornalisti, cultori, storici della danza, ma lei ha sempre rifiutato, in nome di quella vita discreta e di quel timore del KGB, una vera e propria sindrome, che non l’ha mai abbandonata. Donna Violetta ringrazia per il vostro applauso. Avrebbe voluto partecipare a questa manifestazione, ma le è impossibile, perché non sarebbe mai partita da Vico Equense, prima delle cinque. Ci troviamo di fronte ad una donna assolutamente straordinaria, come ha descritto meravigliosamente Golda Russo. Grazie, Golda! Hai voluto ricordare i nostri trascorsi. Io ti sono grato. Provo per te affetto, stima e considerazione altissimi. Stasera hai dimostrato, in maniera non enfatica, di aver colto il senso femminile di questa storia. Cosa dire al professor Rino Azan? Quando Francesco Bello mi ha proposto la sua persona, come relatore, ho chiesto di cosa si occupasse. Un docente di Materie Letterarie, mi fu risposto. Poi, l’informativa successiva di Bello mi aveva anticipato il livello assolutamente eccellente del critico, che non derivava solo dall’attività di docenza. Devo riconoscere che la fama che lo ha preceduto, tramite le parole di Francesco Bello e di Golda Russo, si è rivelata di gran lunga inferiore al risultato di questa sua relazione. Anzi, un autentico saggio di critica letteraria, di altissimo profilo. Il suo intervento sul mio libro, indipendentemente dal fatto che lo abbia scritto io, è, appunto, un saggio nel saggio, in quanto Azan ha definito la mia opera, un romanzo-saggio. Devo auto citarmi, anche se non amo farlo, perché Azan ha impiegato diverse espressioni che furono della giuria del Premio Chianciano di Narrativa Opera Prima, che vinsi col mio primo romanzo, “Roma a due piazze”. La sua relazione coglie, in pieno, non solo il profilo stilistico e formale, ma quello strutturale e contenutistico del mio romanzo. Ho pubblicato un libro sulle ventuno tappe del Tour Dalla, in cui ci sono anche gli interventi di Gianni Raviele e di Matteo Piantedosi, insieme ad altri ottanta contributi. Ho portato il libro su Lucio Dalla in tutto il Mezzogiorno, da Matera a Manfredonia, da Molfetta a Barletta. Non ricordo neanche più tutte le tappe, gli interventi sono stati tutti di altissimo profilo, ma Azan ha scritto il più competo e definitivo saggio su questo terzo romanzo de “La Trilogia Sorrentina” e siamo soltanto al secondo appuntamento. Ora, ci sarà Sant’Agata, poi, Sorrento, al Palazzo Municipale, e Piano di Sorrento, nella Sala Consiliare. Grazie, Rino. Mi hai stupito. Sono orgoglioso di queste tue parole e credo che il tuo saggio sarà presto pubblicato, perché è così esaustivo da non meritare ulteriori aggettivi. Matteo Piantedosi. Quando gli ho chiesto la cortesia di presentare il mio libro, l’ho fatto perché non amo le presentazioni paludate, ma quelle genuine. Preferisco ascoltare il parere dei lettori, ovviamente di lettori che siano di qualità. Per questo, alterno autorità letterarie come Azan a personalità come Piantedosi, che abbiano, però, un livello culturale di eccellenza e una particolare sensibilità. E, infatti, cosa è andato a snocciolare dal romanzo, Sua Eccellenza Piantedosi? La componente ideologica, le contraddizioni dei nazionalismi, degli imperialismi e dei totalitarismi, perché Violetta Elvin è stata il simbolo di questa capacità di lottare. Un simbolo consapevole. Devo alla mediazione di Riccardo Piroddi, mio collaboratore e ammiratore senza condizioni di donna Violetta, raccogliendone le simpatie personali, il fatto di essere riuscito riuscito a mantenere, nel romanzo, gli affreschi storici e i cenni sulle ideologie politiche. Al momento di chiudere la partita sulle bozze del libro, infatti, donna Violetta, da grande artista, ha cominciato a nutrire dei dubbi, avendo letto e corretto anche i punti e le virgole del testo. Ancora dominata dalla sindrome della polizia segreta, aveva espresso il desiderio di omettere tutti i riferimenti a Lenin, a Stalin e al comunismo. Per fortuna, la pazienza di Riccardo e la simpatia che donna Violetta prova nei suoi confronti, l’ha fatta recedere dal proposito, mantenendo, così, nel romanzo, gli scenari storico-politici e tutto quanto ci ha brillantemente illustrato il prefetto Piantedosi. Grazie, Matteo. Del nume tutelare di San Martino Valle Caudina, Gianni Raviele, posso solo immaginare di cosa, in conclusione, parlerà. Non so se riferirà, di nuovo, che il mio libro ha tutti i crismi per essere un romanzo ma, per lui, è una grande romanza. Lo ha detto, l’anno scorso, e ciò ha avuto un successo enorme, almeno nei contatti sul web, tra commenti al mio libro su Lucio Dalla, “Caruso The Song - Lucio Dalla e Sorrento”. Concludo: questo patrimonio, voi sammartinesi, non lo dovete disperdere, non lo dovete far cadere nell’oblio. Il patrimonio cumulato dall’abilità, dall’intelligenza e dalla classe di Gianni Raviele non potete buttarlo alle ortiche. Dovete farne un patrimonio stabile e permanete di questa comunità. Mi permetto di lanciare, per tale ragione, alcune proposte, di cui ho anche riflettuto con il sindaco. San Martino Valle Caudina potrebbe essere il luogo ideale per accogliere una mediateca provinciale o, almeno, caudina, dedicata a Lucio Dalla. Niente di museale, ma un centro per i giovani, di dibattito, di confronto, un laboratorio musicale, un laboratorio sulle nuove tecnologie della comunicazione, sui new media, sui social. Qualcosa di cui discutemmo già con Mimmo Petecca. Devo riconoscere che la nuova Amministrazione, sebbene neonata e in fasce, stia già correndo velocemente per i suoi obiettivi di programma. Una struttura, quindi, per la quale resto a disposizione. Suggerisco al sindaco di insediare un comitato, presieduto da lui o dall’assessore Bello, affinché i passaggi per la definizione di un progetto, con il concerto di tutti i sindaci della Valle Caudina, possano essere concordati per, poi, richiedere i finanziamenti adeguati al Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per farlo inserire nel bilancio della Regione Campania, l’anno prossimo. La creazione di una mediateca tecnicamente avanzata, necessita di finanziamenti permanenti da parte della Regione Campania. Ripeto: io sono a vostra disposizione, sia per lavorare al progetto, sia per farlo pervenire nelle sedi istituzionali opportune. Credo, inoltre, che già l’assenso del presidente della Città Caudina, qui presente, e dei sindaci che operano in questo territorio, possa essere un biglietto da visita fondamentale per la presentazione del progetto al presidente della Regione Campania. La seconda proposta: tenere, l’anno prossimo, un primo convegno nazionale sul tema: “Lucio Dalla uomo, Lucio Dalla poeta, Lucio Dalla musicista”, articolandolo, sezionandolo e inquadrandolo sul ponte ideale, preludio di un gemellaggio, tra San Martino e Sorrento. Me ne faccio portatore, da cittadino di Sorrento e da cittadino onorario di San Martino Valle Caudina. La terza proposta: istituire premio di poesia. Non il solito premio di poesia. Ce ne sono a decine in tutta Italia. Un premio di poesia per la musica, cioè, quello che era Lucio e quello che Lucio volle essere nel 1976, quando, dopo la morte della madre, superata una crisi esistenziale e di salute, abbandonò il grande poeta comunista Roversi e le ideologie di sinistra, decidendo di diventare lui stesso autore dei propri testi, scrivendo una bellissima canzone, “Com’è profondo il mare”. Ecco, ho formulato le mie proposte. La seconda e la terza sono abbastanza agevoli, anche sul piano finanziario. Mi incarico io, nei prossimi giorni, incontrando il sindaco di Sorrento, Giuseppe Cuomo, di inaugurare questo ponte, tra il mare e la montagna, nel nome di Lucio Dalla. Ringrazio tutti per questo incontro meraviglioso, emozionante, che, mi auguro, non si esaurisca stasera. Voglio farmi una confidenza. Quando, all’inizio della serata, i posteggiatori hanno cantato “Era de maggio”, la cantante ha sottolineato una verità assoluta: Lucio Dalla, intervistato dal TG1, essendo stata pubblicata la classifica delle canzoni più belle del secolo, risultando vincitrice “Imagine” di John Lennon, disse che la canzone di Lennon dovesse andare al secondo posto e che il primo posto toccasse a “Era de maggio” di Salvatore Di Giacomo. Concludo. Benedetto Croce sosteneva che le idee camminassero sulle gambe degli uomini. Altrimenti restano idee. Se non ci fossero amministratori intelligenti e determinati, anche queste mie proposte rischierebbero di restare lettera morta. Confido, quindi, sulle gambe di Pasquale Pisano, di Francesco Bello e di tutti gli altri collaboratori dell’Amministrazione Comunale, nella continuità con la precedente, perché il patrimonio Dalla appartiene a tutti, ma, innanzi tutto, ai sorrentini e ai sammartinesi e alle nuove generazioni di sorrentini e di sammartinesi. Grazie!
Gianni Raviele, già Responsabile Redazione Cultura del TG1
Mi trovo nella stessa situazione di un premiato importante, il commediografo inglese George Bernard Shaw, il quale, nel corso di una cerimonia, ricevendo tanti omaggi e tante attestazione di stima, disse alla platea: “Volete un discorso lungo o un discorso breve?”. George Bernard Shaw era un avaro di danari, era un avaro di parole, era un avaro di contatti, schivava il pubblico, non aveva molte relazioni. “Facci un discorso breve”, gli fu risposto. George Bernard Shaw rimase interdetto, allora il pubblico gli richiese: “Giacché ti trovi, facci un discorso lungo”. George Bernard Shaw replicò: “Tante grazie!”. Caro senatore, a lei cosa debbo dire. Vice capo della Polizia, caro Rino. Io non terrò un discorso su Violetta, ma farò un brevissimo intervento di attualità, nel senso che, il sindaco, all’inizio della nostra serata, si è ricordato del dramma che stanno vivendo le popolazioni di Amatrice e di Arquata del Tronto. Perché voglio ricordare questo? Perché la Pro Loco di San Martino Valle Caudina, in quei posti, c’è stata. Quando attraversammo le gole, insinuandoci in un paesaggio straordinario, mi ricordo di un caro sammartinese, Clemente ‘o musso spaccato, perché aveva il labbro leporino, che mi disse: “Preside’, dove ci avete portato? Montagne, solo montagne. Noi abbiamo le nostre montagne, così belle, e voi ci avete portato qui, a vedere altre montagne!”. E io riposi: Non ti preoccupare, ti rifarai, perché qui si mangia veramente bene! Arrivammo ad Amatrice, prendemmo alloggio nell’albergo Roma, eravamo in sessanta. Il ristoratore, sapendo che venivamo dalla provincia di Avellino, si diede da fare per preparare un’amatriciana straordinaria. Avevamo mangiato, a mezzogiorno, a L’Aquila. A tavola c’erano decine e decine di piatti di spaghetti all’amatriciana. Tre nostri concittadini si sfidarono, il dottor Cocozza, Clemente e Carlino il giornalaio. Fu una battaglia all’ultimo piatto. Per cui, questi tre restarono seduti a mangiare fino alle tre del mattino. Qualche giorno fa, ho visto Carlino e gli ho chiesto se si ricordasse di Amatrice, e lui: “Certo che mi ricordo! Mi faceste fare una ‘spanzata’!”. Ho raccontato questo episodio perché si lega a un fatto locale. In questa sala, quando ci fu il terremoto in Irpinia, la Pro Loco organizzò un convegno. Chiamammo il sindaco di Gibellina, l’onorevole Ludovico Corrao, il sindaco di Gemona del Friuli, paese ricostruito a meraviglia, il sindaco di Conza della Campania, centro distrutto dal terremoto, e Mario Trufelli, mio collega giornalista, il quale, per combinazione, aveva registrato gli effetti del terremoto. Mentre eravamo a parlare della ricostruzione in Irpinia, ci fu un’altra forte scossa, avvertita anche in questa sala. Fu il panico e, addirittura, mio cugino Antonio si buttò dal balcone. Dico questo perché il sindaco di Gibellina, Corrao, morto qualche anno fa, in circostanze tragiche, portò un milione di lire e lo consegnò al sindaco di San Martino Valle Caudina, come omaggio della città di Gibellina, distrutta dal terremoto, a una cittadina dell’Irpinia. Da qui, la mia prima proposta. Che il Consiglio Comunale di San Martino Valle Caudina prenda l’iniziativa di destinare un quid, un qualcosa, non posso quantificarlo, perché non conosco le disponibilità e i bilanci delle casse comunali, a favore di Amatrice, di Arquata del Tronto o di altre cittadine colpite da questa tragedia. In questa circostanza, dobbiamo ricambiare la solidarietà che, allora, ci fu mostrata. La seconda cosa. A Golda e a Rino, cosa posso dire? Posso mai dire ai miei parenti: avete fatto schifo? No. Avete sentito che classe. Questo è il prodotto di San Martino, caro senatore Lauro. Golda è un giovane virgulto, che si farà strada. Per Violetta, ricordo semplicemente che mi ha fatto venire in mente le “Ballerine” di Degas, un capolavoro dell’Impressionismo francese. Bellissima opera pittorica, come bellissimo è il libro del senatore Lauro. Ne dovrà scrivere un altro, ma non più su Dalla. Bastano i tre libri che gli ha dedicato. Lucio è nell’animo dei sammartinesi. Il Comune, il sindaco, la giunta devono dare corso a quella che è stata l’iniziativa della precedente amministrazione: apporre una targa sullo Spazio Scenico, in ricordo della memorabile serata, in cui fu lanciata “Caruso”. Chiudo il mio intervento, rivolgendomi al presidente della Città Caudina, che ci onora della sua presenza, un sammartinese prestato ad Airola. Nei prossimi giorni, “Il Caudino”, sotto mia iniziativa, lancerà la proposta di “Caudio, patrimonio dell’UNESCO”. Vogliamo coinvolgere, in questa iniziativa, tutte le comunità locali, in primo luogo, l’unione dei comuni e, poi, tutti i comuni dell’area. Riteniamo che ci siano i presupposti e i precedenti per portare avanti questa proposta. Abbiamo le Forche Caudine, divenute anche un’espressione universale, conosciuta dappertutto, ma c’è rimasta solo una tabella, posta dove riteniamo sia avvenuto, nel 321 a. C, il passaggio dei soldati romani sotto le forche. Noi non sappiamo sfruttare niente. Un patrimonio di questo genere, in mano i tedeschi, amanti della cultura e della civiltà latina, sarebbe stato utilizzato tantissimo. Abbiamo il fatto storico, il fatto letterario, del Caudio, infatti, si parla nel viaggio da Roma a Brindisi di Orazio. Abbiamo una necropoli, un museo a Montesarchio, abbiamo tante risorse. Possiamo farcela, partendo bene e con il piede giusto, senza millantare crediti, senza pensare a cose straordinarie, ma a passo deciso e con grande circospezione, perché contro questa iniziativa si scateneranno, certamente, i localismi di altri territori. Crediamo di poter garantire, alla nostra valle e al Caudio in particolare, un avvenire di progresso, di cultura e di civiltà. Concludo con un aneddoto. C’era un poetastro, che aveva di fronte una bella ragazza e doveva farne l’elogio. Cominciò: “Vorrei cantar quegli occhi”, e si fermò. “Vorrei cantar quegli occhi”, e si fermò, di nuovo. Accanto alla ragazza era seduto Vincenzo Monti, il famoso poeta milanese. Per la terza volta, il poetastro si espresse: “Vorrei cantar quegli occhi!”. Al ché, Vincenzo Monti replicò: “E canta anche le braccia, il seno e tutto il resto, purché ti spicci presto!”. Grazie!