05/02/2018
Questa letale degenerazione, partita da lontano, da cui nascerà un parlamento, moribondo o morto, è stata rafforzata, scientemente, da una legge elettorale, apparentemente raffazzonata. Definita l’unica normativa possibile, nelle condizioni parlamentari date, del tutto incostituzionale, il “rosatellum” invece di correggere i difetti e i limiti delle precedenti, censurate dalla corte costituzionale, il “mattarellum” e il “porcellum”, li ha sublimati ed elevati a sistema. Con l’unica finalità di garantire ai cosiddetti leader e ai ristretti vertici dei partiti e dei movimenti, alle loro dirette consorterie di potere e di affari, nonché ai loro diretti sodali economici o dell’informazione, la piena disponibilità dei posti “sicuri”, nell’uninominale o nel plurinominale, per entrare (o rientrare) nelle aule parlamentari, illusoriamente ritenute, non il centro pulsante della democrazia parlamentare, ma due “luoghi protetti”, due arche della salvezza, due elicotteri in decollo prima della tempesta in arrivo. Una manovra “a catenaccio”, in difesa, di auto protezione, di autoperpetuazione e di salvaguardia del potere e degli interessi del clan di appartenenza.
Il nuovo medioevo politico italiano!
L’ormai logora retorica dell’attingimento delle candidature dalla società civile, appare, in questa occasione, più che in passato, un’obbligata operazione di marketing elettorale, di immagine, in alcuni casi addirittura controproducente per la superficialità delle scelte fatte. Queste candidature, provenienti da imprese, università, ricerca scientifica, libere professioni, associazioni no profit, mondo del giornalismo e dello spettacolo, pur quantitativamente inferiori e qualitativamente meno significative del passato, sembrano, tranne qualche rara eccezione, condannate al massacro elettorale. Uno specchietto per le allodole, una finzione, un ulteriore inganno degli elettori.
Le candidature dei membri della propria ristretta cerchia partitica, oppure di mogli, amanti, figli e parenti, fino al quinto grado, di referenti elettorali, sul territorio, oppure di amici degli amici, con colleganze associative, con gruppi di potere e di pressione, con ordini professionali, società o categorie economiche, oppure le candidature “civetta” della società civile, hanno provocato un ulteriore strappo, credo definitivo, al già logorato rapporto di fiducia tra i cittadini e la classe politica dirigente. L’astensionismo in aumento, quindi, sarà il frutto avvelenato proprio di questa patologia degenerativa della politica italiana. Molti commentatori hanno documentato questo sentimento diffuso di sfiducia, di incertezza e di amarezza, anche pubblicando i retroscena, diurni e notturni, della “battaglia” delle candidature, senza risalire, tuttavia, alle origini, alla causa iniziale del male politico italiano.
Ai lavori dell’Assemblea Costituente, eletta nel 1946, che già si pose il problema se e come regolamentare i partiti politici della nuova Repubblica.
Non sono bastati, infatti, quasi settant’anni di dibattiti, dentro e fuori il parlamento, nonché di autorevoli contributi di eminenti costituzionalisti, per tutti, Costantino Mortati e Giuseppe Maraniniin Italia e François Goguel in Francia, per approvare una legge di regolamentazione dei partiti politici, in attuazione dell’articolo 49 della Costituzione (“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale).
I timori di un autoritarismo partitico e di un controllo della libertà di associarsi impedirono una regolamentazione di quel “metodo democratico”, che non riguardava soltanto i rapporti tra i partiti, ma l’organizzazione e la vita interna dei partiti, a garanzia della trasparenza e, innanzi tutto, di tutela delle minoranze. Il centralismo democratico del PCI non poteva consentire il varo di norme di tutela delle minoranze dissenzienti, liquidate facilmente con le accuse di frazionismo ed espulse, o di controllo delle sue fonti di finanziamento. Senza contare la preoccupazione che dalla regolamentazione dei par
La nostra legge fondamentale, da tutti celebrata a parole, è rimasta, non solo nei principi fondamentali, del tutto inattuata. I tentativi di modifica non hanno sortito miglior esito o hanno complicato, più che semplificare, la vita istituzionale del nostro paese. La mancata attuazione dell’articolo 49 della Costituzione, quindi, appartiene alle più gravi responsabilità dell’attuale classe politica dirigente, divenuta, per la cecità dimostrata nei confronti degli effetti della cultura digitale sulla politica, causa ed effetto del degrado attuale, registrato nella composizione delle liste elettorali.