12/02/2018
Pubblicato da Politica in Penisola - domenica 11 febbraio 2018
Le vicende di Macerata resteranno il tragico paradigma di questa campagna elettorale e dei suoi esiti finali.
La “questione immigrazione”, prima che essere (diventata) un’ineludibile e centrale questione politica nazionale, oltre che socio-economica, cartina di tornasole e ago della bilancia dei risultati elettorali del 4 marzo, rappresenta una questione europea e mondiale. Una questione globale necessita di una riposta globale, non ristretta all’Unione Europea, ma che, investendo i destini del mondo, dovrebbe interessare gli equilibri geopolitici delle “grandi potenze”: gli USA, la Cina e la Russia. Prescindere da questa premessa significa non comprendere le origini di un fenomeno epocale che, se non governato con realismo e razionalità, a livello di accordi sovranazionali, rischia di travolgere le democrazie occidentali, di aprire la strada a governi reazionari e a dittature già condannate dalla Storia, con riflessi sull’intero scacchiere internazionale e sulla pace! La fine della Repubblica di Weimar (Weimarer Republik) docet!
Nessuno quindi in Europa si illuda, in particolare i paesi dell’Unione, che non si trovano esposti, come il nostro, in prima linea, oserei dire “in prima costa”, sul fronte del Mediterraneo. L’emigrazione dal Sud e dall’Est del mondo, infatti, non ha più le caratteristiche della mera emergenza e non riguarda più, e soltanto, cause economiche e umanitarie, cioè la fuga dai conflitti. Investe tutti, non solo l’Italia, la Spagna o la Grecia, e non durerà per un solo quinquennio. Nei prossimi decenni, infatti, decine di milioni di persone saranno pronte a spostarsi dall’Africa e dall’Asia, per via mare o lungo la dorsale balcanica, a costo della vita, verso il vecchio continente.
Le classi dirigenti europee, che si dicono democratiche, e i burocrati di Bruxelles oscillano nelle loro politiche sull’immigrazione:
1) tra una folle, quanto dissennata e acritica apertura a tutti (altro che le invasioni barbariche, distruttrici dell’Impero Romano!), in nome di un sentimentalismo umanitario e para cristiano, del tutto irresponsabile e foriero della fine stessa dell’Europa, sul piano politico, economico e culturale;
2) e un’altrettanto dissennata e anacronistica chiusura totale, sollevando i ponti levatoi e chiudendosi in una sorta di fortezza, ritenuta inespugnabile, che rischia di portare al potere, con una investitura elettorale democratica, i nuovi dittatori, i falsi patrioti, i falsi difensori della razza bianca e della identità nazionale. I profeti del caos!
Si imporrebbe, quindi, un’analisi seria e ponderata della realtà, con l’adozione di politiche coordinate, sul piano tattico e strategico, in ambito europeo, nelle aree regionali di confine (Serbia e Turchia) e con i governi dei paesi africani di origine o di passaggio dei flussi migratori, con il concorso essenziale di USA, Russia e Cina, per tentare di governare il fenomeno, senza semplificazioni e senza provocare sconquassi. Servirebbe, in definitiva, un “Congresso Mondiale sull’Emigrazione”, che metta in sicurezza, al più presto, l’area mediterranea e la dorsale balcanica, nonostante che l’America di Trump appaia ormai lontana, tutta proiettata sul Pacifico.
Utopia? Forse, ma non ci resta altro.
Intanto, in Europa ieri e in Italia oggi, l’immigrazione ha condizionato e condiziona lo scontro elettorale, eclissando tutti gli altri problemi. Nelle recenti elezioni in Olanda, in Francia, in Gran Bretagna e in Germania, i partiti anti-immigrazione non sono diventati (ancora) forza di governo, ma hanno ottenuto significativi risultati, continuando a raccogliere adesioni e consensi. Appare chiaro, quindi, che le elezioni si vinceranno o si perderanno, in futuro, in relazione alle posizioni assunte, in campagna elettorale, sull’immigrazione, regolare o clandestina. Se nelle lezioni olandesi, francesi, inglesi e tedesche un dibattito tra apertura e chiusura all’immigrazione non era mancato, in Italia è stato sostituito dai proclami e dagli slogan. Ecco perché le vicende di Macerata resteranno il tragico paradigma di questa campagna elettorale e dei suoi esiti finali.
Il mostro della paura collettiva, alimentata dalla persistente crisi economica (disoccupazione, sottoccupazione e precarietà materiale, senza o con poche prospettive future) e da un senso di insicurezza fisica di uscire per le strade (aggressioni, scippi, violenze singole e di gruppo), di rifugiarsi nella propria casa o di operare nel proprio esercizio commerciale (scassi, furti e rapine), spinge parte rilevante del corpo elettorale al non-voto o a diventare facile preda delle ingannevoli sirene dei ciarlatani della politica, i nuovi “salvatori della patria”, che imperversano su poche piazze fisiche e su molte piazze mediatiche, cavalcando, tonitruanti e beceri, il loro “Carro di Tespi”.
Non il carro dell’inventore della tragedia greca, Tespi, che, nel VI secolo a.C., portava le sue invenzioni poetiche e drammaturgiche in giro per l’Arcadia o quello dei comici girovaghi del teatro nomade popolare italiano, i quali, a partire dal tardo Ottocento fino al ventennio fascista, andavano alla ricerca del loro pubblico, ma un carro molto pericoloso, nutrito di pulsioni xenofobe e razziste, di evocazioni fasciste e naziste, con un sottobosco impenetrabile, fatto di sette e di nuclei eversivi di estrema destra, pullulanti nelle periferie urbane, nelle curve degli stadi e sul web.
Se si dovesse verificare (Iddio non voglia!), in queste tre settimane che ci separano dal voto, un altro efferato e sconvolgente omicidio di gruppo, a danno di una vittima italiana, maturato negli ambienti della malavita africana, dedita allo spaccio degli stupefacenti, con la conseguente reazione stragista di qualche “patriota”, autoproclamatosi giustiziere dei “negri” spacciatori, stupratori e rapinatori, ladri di lavoro degli italiani e potenziali criminali, senza che la classe politica sappia assumere posizioni nette e inequivoche, per non perdere voti o per farne razzia, la “questione immigrazione” determinerà il risultato elettorale e aprirà una pagina buia nella storia politica del nostro paese.
Con buona pace dei programmi elettorali sulla questione, dove i partiti e le coalizioni indicano i loro obiettivi, in chiave elettoralistica e propagandistica, senza un’analisi della realtà e senza mai spiegare come, concretamente, realizzarli:
– l’immigrazione come questione di ordine pubblico, con il blocco degli sbarchi e il rimpatrio immediato di tutti i clandestini, la “bomba” sociale dei 600/800.000 mila (Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia);
– il rimpatrio immediato di tutti gli irregolari e 10.000 assunzioni nelle commissioni territoriali, deputate alla valutazione dei richiedenti asilo (Movimento 5 Stelle);
– la prosecuzione del “Piano di accoglienza diffusa” e lo ius soli (Partito Democratico);
– il superamento della legge Bossi/Fini, un’integrazione efficace e l’inserimento degli stranieri nel mercato del lavoro (Più Europa);
– un sistema di accoglienza rigoroso, diffuso e integrato, nonché la cittadinanza per chiunque sia nato in Italia da genitori stranieri (Liberi e Uguali).
Sembra arrivato il tempo di svelare le vicende riservate, relative al rimpatrio, nell’agosto 1991, in pochi giorni, di circa 25.000 albanesi, approdati a Bari con una nave-carretta partita dal porto di Durazzo, con centinaia di criminali fuoriusciti dalle carceri del regime comunista.
Un rimpatrio realizzato con uno straordinario ponte aereo dell’Aeronautica Italiana e dell’Alitalia, deciso da un ministro dell’Interno coraggioso, con l’avallo di un Capo dello Stato indimenticabile.
Una storia ignota nei suoi retroscena, in parte vilipesa dalla stampa, che potrebbe risultare utile conoscere nell’immediato futuro.