16/02/2018
Pubblicato da Politica in Penisola venerdì 16 febbraio 2018
La nebbia non cala soltanto sul paese, ma anche sulle prospettive future delle forze in campo e sulle fortune politiche dei cosiddetti leader
Nel 1990 e nel 1992, in due saggi, “Comunicazione e trasparenza bancaria” e “Leadership e preferenza unica” (editi rispettivamente dalla Compagnia Editrice Italiana e dalla Maggioli Editore)che raccoglievano gran parte delle lezioni di Diritto delle Comunicazioni di Massa tenute, negli anni precedenti, presso la Facoltà di Scienze Politiche della LUISS (Libera Università Internazionale degli Studi Sociali) e, successivamente, in alcuni corsi sulla “Comunicazione politica, la radiotelevisione e i nuovi media”, riservati ad un pubblico femminile di docenti, manager e imprenditrici, ho avuto modo di approfondire, tra l’altro, il rapporto stretto tra la leadership politica e i sistemi elettorali, ma anche la rivoluzione intervenuta con l’avvento, su larga scala, della televisione e di internet, con una constatazione del tutto condivisa dagli studiosi di scienza della politica.
Non si può definire una leadership politica, trattando soltanto delle doti personali del leader e prescindendo dal contesto, in cui opera in quanto, in tempi e luoghi diversi, le caratteristiche del buon leader subiscono modifiche. Può immaginarsi, oggi, una leadership che non sappia volgere a proprio favore le straordinarie potenzialità comunicative del mezzo televisivo, del mezzo radiofonico e del mezzo web, attraverso i Social (FB, Twitter, Istagram e via digitando?).
Se le capacità oratorie, la retorica della parola, le pause, il ritmo, la variazione dei toni del discorso elettorale, la vis polemica, il doppiopetto e cravatta, la battuta ad effetto e, in particolare, la consonanza psicologica con la piazza, intesa fisicamente come la folla degli elettori, dei militanti e dei sostenitori, in piedi davanti al palco e sventolanti le bandiere di partito, costituivano, nei comizi elettorali del secondo dopoguerra, le doti preminenti dei leader politici,
le stesse non sarebbero più idonee nella comunicazione politica di oggi, come fu dimostrato, al tramonto della prima repubblica, dalla decadenza, in termini di ascolti, delle tribune elettorali tradizionali, noiose, ripetitive e rigettate dai telespettatori, sostituite, specie negli USA, dai più allettanti duelli televisivi tra i candidati alla presidenza.
La mutazione dei linguaggi fu indotta anche dalla trasformazione delle leadership politiche “carismatiche” in leadership politiche “personali”, con maggiore accentuazione nei regimi presidenziali, semi presidenziali e con sistemi elettorali maggioritari o prevalentemente maggioritari. Il processo di mediatizzazione, specie con un medium visivo e personalizzante, come la televisione, ha accentuato la personalizzazione del potere perché, attraverso la comunicazione di massa, i leader possono raggiungere la massa dei cittadini-elettori. Con il tramonto dei partiti di massa, organizzati, ideologizzati e articolati sul territorio, la mediatizzazione ha rafforzato sempre più il ruolo dei leader e dei premier, persino nei regimi, basati sul parlamentarismo, come il nostro.
La nostra storia, democratica e repubblicana, è stata costellata di leader carismatici, alla guida di grandi partiti (da Alcide Gasperi fino al 1954 e da Palmiro Togliatti fino al 1964, seguiti da Aldo Moro, sempre per la DC e da Enrico Berlinguer, sempre per il PCI) come di partiti minori (da Pietro Nenni a Giuseppe Saragat, da Ugo La Malfa a Giorgio Almirante ecc..). Anche in Italia, si è passati, poi, dal fenomeno del carisma, analizzato scientificamente, fin dal 1922, dal sociologo tedesco Max Weber (Wirtschaft und Gesellschaft) a quello della leaderizzazione, connesso alla personalizzazione, con la figura di Bettino Craxi, segretario politico del Partito Socialista Italiano dal 1976 al 1993 (e presidente del Consiglio dal 1983 al 1987).
Nonostante la forte personalità di Craxi, il sistema elettorale di rappresentanza proporzionale continuava a costituire un ostacolo al processo di personalizzazione della politica e la raccolta dei voti di preferenza, con tutti i costi in capo alle correnti di partito, l’elemento decisivo per l’assegnazione dei seggi parlamentari e delle cariche di governo. La corruzione, legata alla necessità di approvvigionamento di risorse occulte per finanziare sedi, giornali e campagne elettorali del proprio gruppo portò, con Tangentopoli, alla fine della prima repubblica e dei partiti tradizionali.
Le preferenze vennero additate al pubblico ludibrio come foriere della corruzione partitica, i commentatori politici esaltarono in mille articoli il maggioritario, che trovò il suo approdo, prevalentemente maggioritario, con il “Mattarellum” (tre quarti dei seggi attribuiti in collegi uninominali e un quarto con rappresentanza proporzionale su liste di partito bloccate).
A partire, quindi, dal 1994, con il nuovo sistema elettorale, il passaggio dalle preferenze alla preferenza, non ci furono più ostacoli al processo di personalizzazione, con la necessità per i partiti sopravvissuti, nuovi o mascherati di nuovo, di ricercare ampie alleanze per vincere i seggi nei collegi uninominali e di indicare preventivamente il candidato alla Presidenza del Consiglio. Gli studiosi ritengono che anche senza la discesa in campo dell’imprenditore milanese, edile e televisivo, il processo di personalizzazione si sarebbe, in ogni caso, rafforzato. Nessuno può negare, tuttavia, che l’avvento di Silvio Berlusconi nella storia politica nazionale abbia non solo accelerato il processo di personalizzazione, ma creato il partito personale, un partito-azienda, sostenuto dalla potenza di fuoco di un impero televisivo. Tutti gli altri, in particolare la sinistra tradizionale, furono costretti ad adeguarsi, nei modi possibili, alla nuova comunicazione politica berlusconiana e ad un’organizzazione verticistica nella gestione dei partiti, con ricorso, nelle candidature, accanto ai portatori di voto sul territorio, a candidati mediatici, provenienti dal mondo televisivo e dello spettacolo.
Dopo il “Mattarellum” (1993), il “Porcellum” (2005) prima e il “Rosatellum” (2017) poi, hanno accentuato più che correggere le dinamiche patologiche del sistema elettorale, condannando il nostro paese alla schizofrenia e all’ingovernabilità. Non un sistema elettorale costruito per sapere, la sera stessa dello spoglio, chi governerà e chi farà l’opposizione, ma un sistema suicida, concepito per non far vincere nessuno.
Un salto nel buio o nell’età della nebbia, come l’ha definita con la consueta lucidità il sociologo Ilvo Diamanti, un’età senza programmi credibili, senza coalizioni compatte e senza leader all’altezza dei tempi.
La nebbia non cala soltanto sul paese, ma anche sulle prospettive future delle forze in campo e sulle fortune politiche dei cosiddetti leader:
– il PD minacciato, da sinistra, da “Liberi e Uguali”, una sorta di riserva indiana dei reduci post-comunisti, il cui unico obiettivo sembra quello di far perdere i collegi uninominali alla vecchia ditta di appartenenza, con il risultato di una clamorosa sconfitta sia della vecchia ditta di appartenenza che della riserva indiana;
– una coalizione di centro-sinistra (si fa sempre per dire!) dove i capetti dei cespugli centristi, più o meno petalosi, hanno chiesto e ottenuto, dal PD, collegi sicuri (che sprezzo del pericolo!), a spese di autorevoli esponenti democratici e in aree fortemente caratterizzate da una tradizione di sinistra;
– il partito di Forza Italia, costretto a rinunziare al suo tradizionale moderatismo e alla strombazzata rivoluzione liberale per inseguire la Lega e Fratelli d’Italia, su temi delicatissimi e divisivi, come l’immigrazione, la sicurezza urbana e i diritti civili (una vera rivoluzione illiberale!);
– una coalizione di centro-destra (si fa per dire!), senza una leadership condivisa, dilaniata al suo interno, su punti qualificanti del programma sottoscritto e sulla futura guida di un governo, con promesse inattuabili e confuse (caratteristica applicabile a tutti i programmi elettorali, indistintamente);
– il non-partito M5S, senza una vera identità politica, ancorché generica, con pulsioni contrastanti di destra, di sinistra e di centro, che maturano alla giornata sul palcoscenico elettorale, pieno di contraddizioni programmatiche, con un leader eletto (si fa per dire!), pronto ad essere giubilato sul web, in caso di sconfitta, con candidature eterogenee, raccattate qua e là, sul web, senza una reale strategia delle risorse umane da accogliere e da impiegare nelle istituzioni. Non basta un certificato penale immacolato a garantire l’onestà delle persone, quando non si conoscono, neppure dopo averle già candidate.
La maggior parte dell’elettorato italiano sta rinviando di giorno in giorno la scelta di voto, sperando in qualche novità convincente, mentre aumenta la confusione e la babele delle lingue, con un’offerta politica indigesta. Nessun partito sarà in grado di governare, da solo; nessuna coalizione di partiti riuscirà a formare una maggioranza stabile. Gli attori sembrano sempre più parodie, piuttosto che leadership credibili! Speriamo che il 4 marzo sia una splendida giornata di sole! Almeno disperderà la nebbia... metereologica!