23/02/2018

Pubblicato da Politica in Penisola il 23 febbraio 2018

La delegittimazione della dignità, dell’idealità e, ancor più, della sacralità della politica, intesa come “servizio alla comunità”

Che i cosiddetti leader politici di questa competizione elettorale 2018 non possedessero lo straordinario carisma dei padri fondatori della Repubblica, dei costituenti e dei protagonisti, nel secondo dopoguerra, della ricostruzione nazionale non può sorprendere, in quanto quella generazione si era forgiata, anche psicologicamente, oltre che culturalmente, nel fuoco di eventi eccezionali, epocali e irripetibili, come l’opposizione al regime fascista, la partecipazione alla guerra di liberazione dal nazifascismo e la battaglia per le libertà democratiche.
Che mancassero, tuttavia, di autorevolezza etico-politica e intellettuale, la cui principale e inoppugnabile certificazione discende dal riconoscimento che ne fanno, in primis, gli avversari e i competitori, in un’era della comunicazione che dovrebbe favorire l’affermazione della persona al comando e consentire ai nuovi media, tramite anche i consulenti di immagine, di rafforzare la caratura del leader, meraviglia non poco e impegna ad un’analisi necessariamente sintetica, ma non improvvisata, delle ragioni di fondo di questo disconoscimento generalizzato dei maggiori protagonisti in campo.

image3La delegittimazione della dignità, dell’idealità e, ancor più, della sacralità della politica, concepita in passato come “servizio alla comunità” e oggi giudicata come un qualsivoglia “mestiere”, per giunta furbesco e opportunistico, finalizzato alla esclusiva tutela di interessi personali o di gruppo, si ribalta sui rappresentanti politici, che diventano effetto e causa di questo processo di disconoscimento, alimentato dagli scandali, dalle ruberie, dai privilegi mai soppressi e dalle malversazioni. L’esclusione dalle candidature di personalità preparate, indipendenti, poco gestibili e scomode, magari con curricula non improvvisati e professionalmente ineccepibili, a vantaggio di personaggi sbiaditi, comodi, silenti, servizievoli, destinati al “gregariato” parlamentare, alimenta il discredito della politica e dei ristretti gruppi di potere che gestiscono partiti e movimenti.

image1Inoltre il linguaggio, divenuto aggressivo, insinuante, irridente e, talvolta, persino insultante, utilizzato dai protagonisti nei confronti dei propri avversari, non riguarda mai, come in passato, la contrapposizione, anche durissima e senza esclusioni di colpi, tra ideologie, valori o programmi, ma il profilo umano delle persone, le loro fragilità, le loro condotte, le loro debolezze e, finanche, le loro esperienze di vita. Il progressivo deterioramento del linguaggio televisivo, precipitato in alcune trasmissioni di massimo ascolto, anche del servizio pubblico, in insulti, urla, minacce, offese e, non di rado, in aggressioni fisiche, è stato “adottato” dalla politica. Questo linguaggio televisivo, comunque, che trasforma i dibattiti in arene e agoni da circo massimo, rappresenta soltanto la punta dell’iceberg di ciò che si muove nella insondabile e magmatica “fogna” della rete, nei forum e sulle chat, dove ciascuno si sente libero di offendere, di insultare, di minacciare, di manipolare, di istigare e di diffamare, gratuitamente, commettendo reati gravissimi, che restano impuniti.

image31Questa patologia della parola, degli hater, degli avvelenatori di dibattiti, degli odiatori sociali e dei costruttori delle “fake news”, non riguarda soltanto il nostro paese, ma l’intera comunità digitale, e richiede sollecitamente limiti, controlli e sanzioni, anche penali, quando diventa esaltazione del terrorismo, dell’estremismo, del bullismo, del razzismo e della persecuzione di minoranze. I politici, a qualsiasi livello di responsabilità, da un consigliere comunale ad un ministro, non possono secondare, dal vivo o attraverso i Social, neppure per ischerzo, questa fenomenologia, che rischia di mettere in pericolo i fondamenti della democrazia e della convivenza umana.

Ecco perché il linguaggio dei leader politici, o di quelli che amano definirsi tali, non può mai scadere in eccessi verbali e oltraggiosi nei confronti degli avversari o degli elettori dissenzienti, dentro o fuori le istituzioni rappresentative, in pubblico o in privato, in piazza, in uno studio televisivo o sul web. Si può essere duri, polemici e incisivi, senza mettere a repentaglio la propria funzione pubblica e la propria reputazione sociale.
A queste ragioni di carattere generale, a screditare ulteriormente le leadership in campo, raccogliendo un autentico “disparagement”, hanno contribuito i molti errori commessi di arroganza, di autoreferenzialità, di promesse non mantenute, di infantilismo, di superficialità e di cattiva gestione del potere.

Con riferimento specifico ai maggiori contendenti: Matteo Renzi, Silvio Berlusconi con Matteo Salvini, Luigi Di Maio.

image41Renzi, il rottamatore finito rottamato, si dovrà caricare sulle spalle la scontata sconfitta del PD, la cui ampiezza deciderà anche del suo futuro politico, con un netto ridimensionamento di ruolo o una definitiva defenestrazione, senza ulteriori appelli. Sarà oggetto, in futuro, di ampia saggistica politica l’individuazione dei molti errori da lui commessi, sciupando lo strepitoso consenso dell’esordio, quando venne percepito, anche dagli avversari, come l’uomo nuovo del rinnovamento, non solo generazionale, della politica. Dall’essere simbolo di rinnovamento a icona di sconfitte e di divisione, hanno certamente contribuito l’arroganza, comportamentale e gestuale, il delirio di onnipotenza seppur celato, quasi padronale, il non ascolto dei consigli di moderazione, il non cale delle minoranze, il disprezzo delle vecchie militanze e la pratica ossessiva dell’occupazione del potere, con la distribuzione di nomine rilevanti ad una ristretta cerchia di amici e di sodali.

image51Berlusconi, il risorto che non fa risorgere, l’eterno ritorno del sempre uguale, di nietzschiana memoria, non come legge fondamentale del mondo, ma come parabola esistenziale di un personaggio fuori dal comune. Un personaggio caratterizzato da un’incrollabile e narcisistica fiducia in se stesso, propositore indefesso di vecchie ricette politico-programmatiche, mai concretizzate, e di rivoluzioni liberali mai realizzate, quando avrebbe potuto farlo, avendo ottenuto un consenso maggioritario. La cantilena dei contratti (ora impegni) con gli italiani, la riduzione delle tasse, la tutela della maternità, delle pensioni e dei giovani, i miracoli contro la disoccupazione, la salvaguardia dei cani e dei gatti: sogni! Sogni che non incantano più, almeno chi conserva una buona memoria. Con una spina nel fianco, il Salvini, che neppure le riconosciute doti berlusconiane di affabulante incantatore, ancorché appannate e ormai fruste, riusciranno a domare e ad “incastrare” al Viminale.

image6Di Maio, il moralizzatore rimasto moralizzato dai rimborsi mancati dei suoi parlamentari a cinque stelle (o mani?) e dai candidati impresentabili (o massoni). Un giacobino di provincia, in sedicesimo, con un ego smisurato, mascherato da una finta modestia, che fa impallidire quello, pur abnorme, di Berlusconi. Pronto a governare questo paese, sulla base di un consenso “posticcio” che nasce dalla rabbia, dal rancore e dall’odio sociale, piuttosto che una condivisione di programmi realistici, di prospettive di sviluppo e di proposte realizzabili. Un turbinio di concetti artefatti, appiccicati da consiglieri improvvisati. Una girandola di parole insignificanti. Un’esaltazione della genericità! Indeterminatezza degli obiettivi, superficialità sui problemi, ricette semplificate e salvifiche, nonché inverificabili: un’oscillazione di pendolo su scelte fondamentali per la sopravvivenza nazionale. A marzo, anche per questo nano-leader, che avrebbe fatto bene a studiare di più e ad osare di meno, il risveglio sarà amaro. Se il coraggio diventa incoscienza, improvvisazione e inganno altrui, non merita alcuna considerazione.

Pur appartenendo a generazioni anagraficamente diverse, le tre punte di diamante (si fa per dire!) del tripolarismo asimmetrico hanno in comune, pur con storie personali non assimilabili e con vicende umane agli antipodi, una componente caratteriale: l’alta considerazione di se stessi, a prescindere dai risultati. Una componente della psiche, questa, che in politica, se tenuta sotto controllo, disciplinata e ben utilizzata, può diventare una qualità, una “virtù del principe”.  Non lo è stata, non lo è al presente, non lo sarà in futuro, almeno per Renzi, Berlusconi e Di Maio!

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