20/03/2018
Pubblicato su Politica in Penisola il 20/03/2018
“La nuova ambizione dell’Europa” (Macron) dovrebbe passare per un’autentica rivoluzione europea, fondata sull’analisi degli errori commessi e dei ritardi accumulati nel cogliere le spinte antieuropeiste, che hanno portato alla Brexit e al risultato delle elezioni politiche in Italia.
Nella Grecia antica gli ateniesi erano soliti utilizzare l’espressione “lacrime megaresi” per censurare il carattere, falso e ipocrita, attribuito agli abitanti di Megara la cui indole li spingeva a provocare danni agli altri simulando successivi pentimenti. Dal tredicesimo secolo, dal Medioevo fino all’età moderna, si diffuse in tutti i paesi del vecchio continente, a livello popolare, l’espressione “piangere o versare lacrime di coccodrillo” (in inglese “to shed crocodile tears”) per definire la finzione di un pentimento da parte di chi aveva provocato un dolore o una cattiva azione, a somiglianza dei coccodrilli che, secondo una leggenda, versavano copiose lacrime dopo aver divorato le loro prede.
Nell’incontro di Parigi della scorsa settimana tra il presidente francese Emmanuel Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel le riflessioni pubbliche sui risultati delle elezioni politiche italiane del 4 marzo, con la vittoria (apparente) dei partiti e dei movimenti populisti e sovranisti M5S e Lega, ricordano le “lacrime megaresi” e i flebili “mea culpa” (aver lasciato l’Italia sola, sul fronte della crisi economica e dell’immigrazione) somigliano molto alle lacrime dei coccodrilli della leggenda. Che questo atteggiamento (ipocrita) dell’asse franco-tedesco di fatto al governo di quel che resta dell’Unione Europea si possa tradurre, nel Consiglio Europeo del prossimo 28 giugno, sotto la presidenza bulgara in un cambiamento radicale delle politiche di bilancio e dell’immigrazione, appartiene più alla categoria delle illusioni che a quella delle probabili certezze.
Tutto dipenderà dalla soluzione governativa (quando ci sarà!) e se gli antisistema (e antieuropeisti) riusciranno a formare un governo di legislatura o di scopo, un governo politico Di Maio-Salvini e su quali basi programmatiche, con diretto riferimento alle politiche europee, rispetto al radicalismo manifestato in passato. A poche giorni dall’insediamento del nuovo parlamento le reazioni estere (istituzioni europee, alleati atlantici, cancellerie straniere, stampa, media e mondo finanziario) sono state ispirate ad un duplice sentimento:
– di “sorpresa” per l’inattesa entità della vittoria pentastellata e leghista, nonché per l’altrettanta inattesa entità della sconfitta personale del tandem Renzi-Berlusconi sulla cui auspicata alleanza postelettorale si contava per garantire la continuità europeista del governo italiano e per arginare l’ondata populista;
– di “vigile attesa” sugli sviluppi istituzionali e governativi della vicenda politica italiana, con l’auspicio di un governo anche provvisorio che condizioni, annacqui e depotenzi le spinte antisistema dei due vincitori.
Tre segmenti esteri, in particolare, meritano una riflessione più articolata: le valutazioni delle agenzie di rating; le reazioni della stampa internazionale e lo stato di crisi dell’Unione Europea sempre più roccaforte assediata e in balia delle tensioni geopolitiche mondiali tra USA, Russia e Cina. Europa: un “vaso di coccio, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro”.
LE AGENZIE DI RATING
Le maggiori e più influenti agenzie finanziarie di valutazione (rating), a livello mondiale sono Moody’s (quota di mercato del 40%), Standard & Poor’s (quota di mercato del 39%) e Fitch Ratings (quota di mercato del 16%), tutte nate all’inizio del ‘900 con l’obiettivo di risolvere i problemi di una corretta informazione per i privati investitori e per i governi al fine di agevolare le decisioni di investimento. Nonostante i dubbi insorti nel corso della crisi finanziaria 2007/2008 sulla loro obiettività, sui loro potenziali conflitti di interesse (la cosiddetta non terzietà!) e sulla “dittatura” esercitata negli equilibri finanziari mondiali, come giudici inappellabili anche di Stati sovrani, la loro autorevolezza di giudizio rimane tutt’oggi condizionante per l’andamento dei mercati finanziari internazionali, per la fiducia degli investitori e per le responsabilità dei governi.
Mentre le più grandi, Moody’s e Standard & Poor’s, stanno ancora alla finestra, la più piccola delle tre, Fitch Rating, ha già espresso nei giorni scorsi le sue valutazioni dopo i risultati elettorali, sull’Italia ancora priva di un governo e nel pieno delle trattative politiche confermando il precedente rating BBB. Non ha rinunziato, tuttavia, a paventare le difficoltà di addivenire ad un governo stabile e duraturo, l’influenza delle politiche populiste, la prospettiva di un allentamento del bilancio e uno stop alle riforme intraprese dai governi precedenti anticipando che il debito pubblico italiano varrà, nel 2019, il 129,8% del prodotto interno lordo. Questa valutazione “prudenziale” comprova da un lato l’attendismo dei mercati finanziari e, dall’altro, lascia intuire una previsione: le polemiche antieuro da parte del M5S e della Lega andranno ad attenuarsi man mano che i protagonisti si avvicineranno all’area del governo.
LA STAMPA INTERNAZIONALE
Tutta la stampa internazionale pur con prospettive e accenti diversi ha sottolineato, purtroppo in maniera superficiale, tre aspetti dei risultati elettorali italiani: il trionfo del populismo al di là delle attese; la futura instabilità politica e governativa (Italia regno della confusione!) e un allentamento dei vincoli europei, una sorta di pre-Italexit.
La stampa finanziaria britannica (Financial Times/ Economist), abbagliata dal suo storico antiberlusconismo ha paventato il ritorno al potere di Berlusconi e la possibilità che, in caso di nuove elezioni, l’anziano tycoon possa tornare in prima persona al governo del paese. Un’analisi letteralmente fuori rotta, frutto di pregiudizio, incapace di cogliere la sconfitta irreversibile del duo Berlusconi-Renzi. Anche gli altri due grandi quotidiani inglesi (Guardian/Daily Telegraph), dopo aver sottolineato la svolta populista e sovranista della maggioranza del corpo elettorale, si sono applicati: il primo, all’analisi della sconfitta di Matteo Renzi e della sinistra, il secondo, attraverso un’intervista a Steve Bannon, ad esaltare la svolta sovranista italiana, come se si trattasse di un evento epocale, più significativo dell’elezione di Trump alla presidenza USA e della Brexit.
Anche la stampa spagnola (El Mundo/Abc), piuttosto che fare analisi si è lasciata andare ad auspici, elogiando Gentiloni e Tajani visti come gli unici leader in grado di contenere l’euro scetticismo di Di Maio e di Salvini. La stampa francese, dal canto suo, si è divertita a sottolineare il tracollo del PD e gli errori di Matteo Renzi il quale si sentiva il Macron italiano pur non avendone le qualità politiche. Soltanto la stampa tedesca ha colto due aspetti specifici del risultato elettorale: l’assenza, tra vincitori apparenti e reali sconfitti, di un vero vincitore delle elezioni italiane (Handelsblatt) e l’ascesa politica di uno sconosciuto, come Luigi Di Maio (Die Welt), divenuto l’ago della bilancia della politica italiana.
Infine negli USA il Wall Street Journal ha interpretato il successo del M5S come la protesta del popolo italiano contro la classe politica, auspicando una coalizione eterogenea ispirata da Mattarella per scongiurare nuove elezioni. Mentre il New York Times ha sottolineato i legami opachi di Di Maio e di Salvini con Putin e Mosca in funzione antieuropea. Naturalmente, sul fronte opposto, la stampa russa vicina al Cremlino ha esaltato la vittoria dei partiti euroscettici.
L’UNIONE EUROPEA, IL “VASO DI COCCIO”
L’Unione Europea ha perduto dinamicità e capacità di reazione agli eventi interni ed esterni all’unione e all’eurozona che rischiano di indebolirla economicamente e politicamente trasformandola in un “vaso di coccio”, fino a portarla al fallimento: la debolezza degli organismi comunitari, incapaci di ricondurre ad unità le spinte centrifughe e le strategie diversificate tra i paesi membri del Nord Europa, dell’Est Europa e del Sud Europa; l’incapacità di autoriformarsi nei trattati istitutivi e nel coordinamento delle politiche nazionali; la cecità nel cogliere e nel contenere, con politiche adeguate, le spinte antieuropeiste e populiste, accentuate dalla crisi economica e dalle sfide migratorie. Gli scenari che si preparano, inoltre, non renderanno vita facile all’Unione e alle sue prospettive di rafforzamento nel quadro internazionale, a partire:
– dal neo isolazionismo della presidenza Trump in materia di dazi doganali, di contributi alla difesa atlantica e di guerre commerciali;
– dalla conferma, oltre il limite dei due mandati, alla guida della Cina tramite il partito comunista di Xi Jinping, il quale potrebbe restare ai vertici della grande potenza asiatica anche dopo il 2023 concentrando un immenso potere nelle mani di un solo uomo, più di Mao e andando allo scontro commerciale con gli USA;
– dalla quarta elezione presidenziale di Putin, lo zar della “Nuova Russia” deciso a mettere a frutto il ritrovato orgoglio della superpotenza russa fondato sulla crescita economica della classe media e sulla fusione tra fede religiosa e nazionalismo (la Grande Madre Russia) contro il nemico Occidente e contro l’Unione Europea delle sanzioni antirusse, colpevoli di voler accerchiare e soffocare la Federazione Russa (un assaggio di questa volontà di rivincita putiniana è stata la guerra delle spie con la Gran Bretagna di questi ultimi giorni).
In questo quadro inquietante e potenzialmente carico di conflitti futuri, non solo commerciali, l’asse franco-tedesco risulta debole e il proposito di rifondare l’unione a partire dal Consiglio Europeo di giugno attraverso una “road map chiara e ambiziosa” appare molto velleitario. Una road map incentrata sull’eurozona, allargata anche a temi chiave come l’immigrazione e la difesa per coniugare meglio responsabilità e solidarietà, rischia di rimanere una mera dichiarazione. “La nuova ambizione dell’Europa”, per dirla con Macron, dovrebbe passare per un’autentica rivoluzione europea fondata sull’analisi degli errori commessi e dei ritardi nel cogliere le spinte antieuropeiste che hanno portato al divorzio della Brexit e al risultato delle elezioni politiche in Italia (preludio di un altro divorzio?).
Altrimenti, le ammissioni delle proprie responsabilità, ex post, appariranno come sembrano oggi: “lacrime di coccodrillo”.