03/04/2018
Pubblicato da Politica in Penisola il 03/04/2018
I confronti di questi giorni, fatti di picche e ripicche, hanno fatto ricordare non tanto la dialettica tra futuri governanti che aspirano responsabilmente a cambiare la classe dirigente e la politica del nostro paese, quanto le schermaglie amorose dei protagonisti della commedia “Le baruffe chiozzotte” di Carlo Goldoni, interpreti della commedia dell’arte. Domani al Quirinale avranno inizio le consultazioni del presidente della Repubblica per la formazione del nuovo governo e l’avvio della XVIII legislatura repubblicana, secondo il calendario tradizionale: presidenti delle Camere ed ex-presidenti della Repubblica (in questo caso, Giorgio Napolitano), leader politici e presidenti dei gruppi parlamentari, dal più esiguo al più numeroso. Il ciclo di consultazioni, quindi, sarà concluso dalla delegazione del M5S, che risulta il “partito” più votato e il più rappresentato nelle aule parlamentari. Se saranno confermate le indicazioni (o, meglio, le rivendicazioni!) della vigilia, rese pubbliche, o fatte filtrare sulla stampa, dalle forze politiche presenti in Parlamento, Sergio Mattarella non dovrebbe essere (in condizionale è d’obbligo, a meno di sorprese clamorose!) nelle condizioni di raccogliere un’indicazione univoca sulla premiership, che sia in grado di garantire una maggioranza di governo.
Nessun partito e nessuna coalizione, infatti, hanno conquistato alle elezioni del 4 marzo una maggioranza autonoma, politicamente e numericamente. Non sono emerse nelle settimane post-elettorali convergenze univoche in materia di future alleanze di governo e tantomeno qualificate trattative sui contenuti programmatici, degne di questo nome, tra gli apparenti vincitori e i reali vinti, non potendo essere prese in considerazioni battute al microfono, repliche, tweet, post oppure pseudo-consultazioni dei cosiddetti leader o dei gregari, finalizzate esclusivamente a “tenere in caldo” il circo mediatico-digitale dei follower e degli elettori on line. Quel circo micidiale, implacabile, impaziente, che rumoreggia, pontifica, insulta, censura e tiene sotto controllo l’operato quotidiano dei leader, i quali, non di rado, ne diventano “prigionieri”. Una sorta di tribunale del popolo, in seduta permanente, che “giudica e manda”, come un novello Minosse.
IL PRIMO GIRO DI CONSULTAZIONI
La due giorni di consultazioni, quindi, tra domani e giovedì si concluderà con un nulla di fatto a causa della nebulosa in atto che impedisce ai protagonisti di poter scoprire (se ce ne fossero!) le proprie carte, condannati, per ora, ad alimentare soltanto i propri giochi tattici: nessun incarico pieno, nessun incarico esplorativo, nessun nuovo ciclo di consultazioni a breve. Con ogni probabilità Mattarella si vedrà costretto a rinviare il secondo giro di almeno una settimana. E inviterà, con quella “moral suasion” che gli deriva dalla autorevolezza e dalla imparzialità unanimemente riconosciutegli, le forze politiche, vittoriose e non, ad accelerare i loro processi decisionali interni e i loro confronti politici per tornare al Quirinale con proposte adeguate alla delicatezza della situazione, secondo l’unico criterio di valutazione, allo stato, possibile: l’incarico (nel caso pieno) andrà al leader (o alla personalità indicata dai leader di un’alleanza) in grado di salire al Colle avendo in tasca un’alleanza politicamente credibile, una maggioranza numericamente solida, un programma di massima concordato e una struttura pre-definita dell’esecutivo.
Se dovesse fallire anche il secondo giro di consultazioni, allora si aprirebbe lo scenario di uno o, in successione, di più incarichi esplorativi fino alla constatazione conclusiva che nessun governo politico sia possibile, di legislatura o a termine, dovendo ripiegare su una soluzione istituzionale. E’ vero come sostengono alcuni neofiti della politica, di matrice digitale, che si può lavorare “in pieno” nelle aule parlamentari, ma il paese ha bisogno, al più presto, di un governo nel pieno esercizio delle sue funzioni e non solo per il disbrigo degli affari correnti. Dopo due mesi, aprile e maggio, la situazione rischierebbe di diventare pericolosa e l’instabilità politica si ribalterebbe negativamente sul M5S e Lega, interrompendo la loro “luna di miele” con il corpo elettorale, registrata tuttora dai sondaggi.
Questo prevedibile “long waiting time” costringerà:
– il Governo Gentiloni a presentare il DEF (Documento di Economia e Finanza) e le forze politiche a cimentarsi, su di esso, in Parlamento, sulla base dei rispettivi programmi elettorali;
– le forze politiche a valutare, in termini prospettici, i risultati delle elezioni regionali nel Molise (22 aprile) e in Friuli Venezia Giulia (29 aprile) e a prepararsi alla tornata di elezioni amministrative del 10 giugno, con il ballottaggio il 24. Questo senza tener conto degli impegni europei di giugno.
LO STATO DELL’ARTE: SEGNALI CONTRADDITTORI
Per valutare lo stato dell’arte, ai fini di una soluzione governativa, in relazione ai primi adempimenti istituzionali sono emersi molti segnali contraddittori:
– l’elezione, concordata tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini, dei presidenti del Senato e della Camera dei Deputati è stata salutata dai fan del governo sovranista Di Maio-Salvini, come il preludio di un’alleanza ineluttabile (la auspica il 52% dell’elettorato cinque stelle). In realtà è stata frutto di un compromesso nel centro destra e nel M5S, con due personaggi, ai vertici del Parlamento, entrambi ortodossi: la iper berlusconiana Elisabetta Casellati e il movimentista Roberto Fico, al quale sono mancati molti voti di Forza Italia;
– Salvini si è convinto di non poter divorziare, in questa fase, da Forza Italia, e di dover difendere obtorto collo l’alleanza di centro destra di cui è l’unico candidato premier per poter trattare da posizioni di forza e tentare di fare un governo (successione a Silvio Berlusconi, quindi, rinviata e salita al Quirinale soltanto come segretario della Lega);
– Berlusconi, nonostante i rinvii a giudizio che gli piovono addosso, è riuscito a trasformare la sconfitta del 4 marzo in una nuova strategia (guida, infatti, la delegazione di Forza Italia al Quirinale, per riaffermare la sua centralità e insostituibilità): ha strappato il biglietto di sola andata per l’isola di Sant’ Elena, graziosamente offertogli dai due populisti; ha fatto presentare alla magistratura l’istanza di riabilitazione che annullerebbe gli effetti interdittivi della legge Severino; si prepara a condizionare le trattative del leghista sul programma e sulla composizione di un eventuale governo con ministri di Forza Italia di sua diretta emanazione (altro che figure sbiadite!) e ha incassato per le sue amazzoni politiche, non filo leghiste, la presidenza dei gruppi parlamentari (Annamaria Bernini al Senato e Maria Stella Gelmini alla Camera) e una vicepresidenza della Camera, la più votata (Mara Cafagna);
– Di Maio, controllando con suoi fedelissimi la maggioranza dei gruppi parlamentari dei cinque stelle ha fatto, di intesa con Salvini, “asso pigliatutto” negli uffici di presidenza negando al Partito Democratico una rappresentanza tra i segretari ed i questori, come da tradizione per l’opposizione:
– l’arroganza di Di Maio preclude definitivamente al M5S l’accesso al “forno” dei democratici, avendo rafforzato la linea di Matteo Renzi il quale controlla la maggioranza dei gruppi parlamentari del PD di rimanere all’opposizione, convinto del fallimento prossimo venturo dell’intesa sovranista;
– nonostante i tentativi in corso di prefigurare convergenze programmatiche tra M5S e Lega-centrodestra, i punti salienti dei rispettivi programmi (reddito di cittadinanza, abolizione legge Fornero, flat fax) appaiono inconciliabili tra loro, sia territorialmente (il reddito di cittadinanza è rivolto all’elettorato giovanile-piccolo borghese dei cinque stelle, nel Sud; la flat fax all’elettorato artigianato-piccola impresa leghista, nel Nord), sia economicamente (l’abolizione della legge Fornero risulta incompatibile, finanziariamente, persino nel corso di un’intera legislatura, con le altre due misure, con il deficit di bilancio e con il controllo dell’abnorme debito pubblico);
– la disputa sulla premiership di Di Maio (io sarò premier o niente! Nessuno ci fermerà!) e il suo martellamento sull’imminente abolizione dei vitalizi dimostrano quanto il capo politico sia prigioniero del “Colosseo digitale” al quale risulta obbligato ad esibire: – se stesso, come unico garante di un’alleanza “spuria” con la Lega, dovendo digerire anche Forza Italia; – e lo scalpo dei parassiti degli sprechi (i vecchi politici) per ottenere gli applausi e non gli insulti, dagli spalti, dei piccoli torquemada della piattaforma Rousseau;
– allo stesso modo il continuo ricorso alle “casalinate pubblicitarie”, come l’arrivo in bus a Montecitorio del neopresidente Fico, potrebbe portare ad un aggiornamento di una sentenza pronunziata da Gesù nell’Orto dei Getsemani (Qui gladio ferit, gladio perit): “Chi di web ferisce, di web perisce”.
LE BARUFFE CHIOZZOTTE
Riusciranno i nostri due apparenti vincitori a trovare un’intesa dignitosa, a conciliare le loro contraddizioni, a trasformare le loro “debolezze” in una forza di governo, a superare i condizionamenti del web (il campano) e di Berlusconi (il lombardo), a formare un esecutivo all’altezza delle nostre emergenze nazionali e non deludere così i loro milioni di elettori, attirati da promesse irrealizzabili?
Governare costituisce un compito ben più complesso che fare propaganda, dove il minimo errore può essere fatale, per il paese, prima che per i responsabili dello stesso.
I confronti di questi giorni fatti di picche e ripicche hanno fatto ricordare, purtroppo, non tanto la dialettica tra due futuri governanti che aspirano responsabilmente a cambiare la classe dirigente e la politica nazionale, quanto le schermaglie amorose dei protagonisti de “Le baruffe chiozzotte” di Carlo Goldoni, interpreti della commedia dell’arte.
L’eterna “commedia all’italiana”!