02/06/2018
Pubblicato da Politica in Penisola il 02/06/2018
Nel giorno della Festa della Repubblica la nuova puntata del diario politico di Raffaele Lauro che ha accompagnato i lettori di PoliticainPenisola nel percorso che va dalle elezioni del 4 marzo alla formazione del nuovo Governo il 31 Maggio e al giuramento dell’1 Giugno 2018. Ultimo appuntamento con “L’Italia sul Baratro” dopo che il Parlamento avrà votato la fiducia al Governo-Conte.
di Raffaele Lauro
Questo diario politico, nella trascorsa settimana, ha temuto seriamente o, meglio, angosciosamente, di diventare, con un Governo Cottarelli sfiduciato ancor prima di presentarsi alle Camere, con un ritorno alle urne in piena estate, con una campagna elettorale furibonda condotta dai populisti e sostenuta dalla ringhiosa canea degli hater sul web contro il presidente della Repubblica, un’enciclopedia degli orrori e degli errori dell’intera classe politica italiana, vecchia e nuova.
Con un prevedibile e drammatico epilogo post-elettorale: il trionfo di Matteo Salvini, il nuovo padrone-mattatore della scena politica italiana, il nuovo uomo della provvidenza, il nuovo (ed abile) manipolatore delle masse; le inevitabili dimissioni del Capo dello Stato; una crisi istituzionale, politica e finanziaria, senza precedenti e del tutto irreversibile. In breve, il default economico, l’Italexit, la fine della democrazia repubblicana nata dalla guerra di Liberazione e fondata sulla Carta Costituzionale del 1948, a favore di una repubblica presidenziale o semipresidenziale, sganciata dalla NATO e dall’Unione Europea, costretta a riparare nell’orbita della Russia di Vladimir Putin. Un regime di impronta autoritaria, antiparlamentare e nazionalista, con venature razziste.
DAL BOSSISMO AL SALVINISMO: L’ ANNO PRIMO DELL’ERA LEGHISTA?
Stupisce, a tal proposito, come soltanto pochissimi commentatori politici capaci di una riflessione alta rispetto alla cronaca politica quotidiana, abbiano analizzato a fondo la metamorfosi intervenuta, dal 2013 ad oggi, nella Lega Nord, con il passaggio dal “bossismo” al “salvinismo”: dalla Lega Nord alla Lega, tout court, dalla Lega alla Lega Italia, punto di caduta della strategia salviniana, che metterebbe la pietra tombale sulla più che ventennale vicenda politica di Silvio Berlusconi e archivierebbe definitivamente il berlusconismo aprendo la strada all’Anno Primo dell’Era Leghista. Una metamorfosi radicale, quindi, del leghismo: dall’essere, con la ricorrente minaccia di una secessione, promotore e difensore della cosiddetta “nazione padana” contro la tirannide della “nazione italiana”, cupida divoratrice delle risorse prodotte nelle regioni del Nord, al farsi, “motu proprio”, campione del nazionalismo italiano e difensore inflessibile dell’italianità.
Prima gli italiani, quindi, e gli interessi nazionali, per il “comunista lombardo”, contro:
– le angherie dei vincoli contabili di bilancio dettati, a piacimento, dai burocrati di Bruxelles e dai loro mandanti finanziari (i poteri forti di Davos), nonché contro la filosofia dell’austerity tedesca alla Merkel, responsabile del nostro mancato sviluppo, della disoccupazione, del disagio sociale e della povertà, persino del nostro debito pubblico di 2.300 miliardi euro;
– l’arma dello spread, strumento di ricatto e di pressione nei confronti della nostra sovranità nazionale e attentatore della volontà popolare, espressa nelle urne;
– le minacciose invasioni degli extracomunitari irregolari, volute da una imbelle sinistra al potere, che mettono a repentaglio non solo la sicurezza fisica dei cittadini, delle famiglie e dei loro beni materiali, in specie nelle degradate periferie urbane, ma la nostra stessa identità di popolo. In poche parole, un salto mortale: al posto della secessione dall’Italia, la difesa della nazione italiana e della indipendenza nazionale.
IL SALVIFICO GOVERNO TRIADICO CONTE-DI MAIO-SALVINI
Fortunosamente, più che fortunatamente, la deriva elettorale è stata evitata (qualcuno sostiene soltanto rinviata agli inizi del 2019) ed è nato il salvifico Governo Conte-Di Maio-Salvini, che dovrebbe risolvere subito, sulla base dell’ormai celeberrimo “Contratto per il Governo del Cambiamento”, i problemi più urgenti del nostro paese: il disagio sociale, la povertà, la disoccupazione giovanile, un sistema fiscale e previdenziale più equo e solidale, la ripresa produttiva e la concorrenza internazionale, previa abolizione dei privilegi della casta, vitalizi e pensioni d’oro, in primis.
Questo diario, quindi, in un clima di trionfalismo dei nuovi governanti (Evviva! Evviva! È nata la Terza Repubblica!), oscillante tra una legittima soddisfazione per la conquista del potere (Dalla piazza al Palazzo!) e manifestazioni di giovanilismo politico, nonché di preoccupante dilettantismo istituzionale, si avvia ad uno scontato epilogo, con una prima e amara conclusione. L’Italia, nonostante il nuovo governo, resta sul baratro!
A questa riflessione odierna, quindi, fatta nel giorno della Festa della Repubblica e prima che il nuovo Governo ottenga una prevedibile fiducia dalle Camere, ne seguirà un’ultima, che tenterà di delineare le prospettive e i pericoli, nell’immediato futuro, per la nostra gracile democrazia.
Nonostante le cautele e i timori, fin qui espressi, e prima di offrire al premier Giuseppe Conte e ai membri del nuovo esecutivo, politici eletti o tecnici, qualche utile riflessione, non richiesta, occorre doverosamente formulare loro un sincero augurio di buon lavoro, nella speranza che l’entusiasmo e la forza di volontà dei neofiti si trasformino, nel confronto con la realtà, con umiltà e impegno, in servizio disinteressato all’Italia e alla comunità nazionale, mettendosi a disposizione, nei fatti e non più con le chiacchiere oltraggiose dei post e dei tweet, del “popolo” tanto blandito.
CONTE, UN VASO DI COCCIO O UN LEADER?
Nessuno conosce a fondo il carattere e la vera personalità del nuovo premier, il professor Giuseppe Conte. Tantomeno come questi requisiti potranno reagire di fronte a difficoltà inedite e a contrasti tra le due componenti politiche dell’esecutivo (i due vicepresidenti). Dalla lettura del contestato curriculum, accademico e avvocatizio, tuttavia emergono delle potenziali qualità di leader, come l’ambizione, l’autoreferenzialità, l’applicazione allo studio, l’impegno nella ricerca, il rigore professionale, una buona dose di cinismo e, fondamentale, la capacità di mediazione. Quest’ultimo attributo diventerà strategico, nell’esercizio delle sue funzioni e come garante dell’unità di indirizzo politico, per la stessa sopravvivenza del governo, in quanto Conte sarà chiamato, momento per momento, a mediare su diversi fronti:
– tra i suoi due “guardiani”, i vicepresidenti Luigi Di Maio e Matteo Salvini, nella realizzazione dei punti chiave del contratto-programma, il quale enuncia linee-guida, non soluzioni prestabilite, nella scelta delle priorità programmatiche e nella definizione dei tempi di realizzazione delle stesse, nonché nella individuazione delle risorse certe da reperire per la copertura finanziaria dei provvedimenti governativi. Scelte alternative, infatti, avrebbero impatti diversi sui rispettivi elettorati di riferimento, Nord/Sud (la neo-luna di miele, tra il Mattarella-Einaudi e il Governo, potrebbe infrangersi già sul primo provvedimento non firmato, perché senza copertura, a norma dell’art. 18 e dell’art. 81 della Costituzione). La mediazione del premier, quindi, si presenta da oggi complessa e problematica in quanto i due “bari”, non volendo rinunziare alla guida politica dei rispettivi partiti, saranno spinti ad ottenere, a breve, risultati emblematici per il proprio movimento, sospinti anche dalle pressioni delle rispettive tifoserie digitali;
– tra la premiership e l’intero gabinetto, nella gestione delle emergenze, degli imprevisti e delle novità che si manifesteranno quotidianamente non contenute nel contratto-programma, in assenza totale di una filosofia politica dell’alleanza e di una visione prospettica della collaborazione tra le due forze politiche. Il contratto, infatti, per sua definizione non delinea, con dei fondamentali, un quadro ideale e valoriale di riferimento, un sogno di società futura, uno scenario non contingente, un orizzonte prospettico e, manco, una visione del mondo che possano aiutare a governare eventi, imprevedibili al presente, specie in politica estera, nelle relazioni internazionali e nelle emergenze economico-finanziarie;
– tra i membri del governo e i rapporti con l’opinione pubblica, nazionale e internazionale, attraverso i new media e i Social, in quanto una dichiarazione avventata, grottesca, contraddittoria e provocatoria (quante ce ne sono state da febbraio a l’altro ieri?) di un capo partito riguarda soltanto la forza politica di appartenenza e i militanti, mentre quella di un membro del governo potrebbe provocare una crisi nei rapporti tra Stati, tra le componenti della maggioranza e del governo stesso, senza contare che diventerebbe difficile distinguere l’attribuzione di una dichiarazione pubblica al capo politico o al ministro in carica. L’utilizzo ossessivo e quasi schizofrenico di Di Maio e Salvini dei new media lascia prevedere incidenti di percorso a ripetizione, fuochi d’artificio, altro lavoro di mediazione per Conte;
– e, non da ultimo, tra i ministri politici e i ministri tecnici, responsabili di settori strategici, come, ad esempio, i dicasteri degli Esteri e dell’Economia e Finanze (si può già prevedere che, in caso di conflitti insanabili, i tecnici rassegneranno le dimissioni);
Non secondaria, inoltre, dovrà essere la vigilanza che il premier sarà chiamato ad esercitare, nelle prossime ore, sulla composizione degli uffici di diretta collaborazione dei ministri, in particolare sulla nomina dei capi di gabinetto, la cui qualità istituzionali (rigore, prestigio, autorevolezza, esperienza, professionalità, competenza, diplomazia e capacità di collegamento con i rispettivi apparati amministrativi) diventeranno fondamentali per il successo della missione ministeriale, tenendo conto della inesperienza e della totale “ignoranza” delle procedure amministrative di competenza di molti neo ministri.
Dall’insieme di queste abilità del premier si capirà, fin dalle prossime settimane, se Conte avrà il destino di un “vaso di coccio” condannato a soccombere tra i “vasi di ferro” (si fa per dire!), oppure si rivelerà, a dispetto delle previsioni, una figura di statista e di leader.
“LA RETE NON DIMENTICA”
La nostra memoria tende a neutralizzare i ricordi negativi e a valorizzare quelli positivi, se il nostro carattere risulta ottimista, incline cioè alla tolleranza e al perdono. Al contrario, se risulta negativo, sarà portato a ricordare i dolori patiti e le offese ricevute. La memoria della rete, che non dimentica, non opera a differenza di quella umana alcuna selezione, ma si presenta come eternamente attuale, eternamente valida. Si consiglia, quindi, a quanti, anche persone serie ed equilibrate, lettrici di questo diario non i soliti banditi del web, si sono lasciati trascinare, irrazionalmente ed emotivamente, nella dissacrazione e nell’insulto al presidente della Repubblica, di rivedere in successione tutti i video postati sul web da Di Maio e Salvini, prima, durante e dopo la campagna a elettorale, fino al loro “ravvedimento operoso”. Potranno cogliere le contraddizioni, le superficialità, i tatticismi, le strumentalizzazioni e le manipolazioni della realtà, posti in essere dai due personaggi, ora responsabili, rispettivamente, della sicurezza dello Stato e dello sviluppo economico dell’Italia. Sarà un esercizio molto utile per capire a quali attentati siamo ormai esposti in un momento in cui viene creata persino una delega di governo sulla “democrazia diretta”, presumo digitale, al di fuori del quadro costituzionale.
L’OPPOSIZIONE INESISTENTE E LA MOSCA COCCHIERA
Il nuovo governo e la nuova maggioranza non avranno in Parlamento un’opposizione adeguata, forte, solida e, in particolare, politicamente autorevole, non a destra (Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia si sono messi già in pole position), non al centro e non a sinistra.
Infatti, anche se Forza Italia non voterà la fiducia e Silvio Berlusconi potrà essere ricandidato in futuro (quale futuro? Da qui all’eternità?), il processo di annessione di Forza Italia nella Lega, procederà implacabile a livello locale e nazionale.
A Salvini riuscirà più facile respingere i barconi dei migranti, nel Mediterraneo, che la fila della nomenclatura forzista, in attesa pressante nell’anticamera del segretario della Lega e dei ministri leghisti. Ad un leghista andrà certo affidata la delega alle telecomunicazioni, con un implicito ricatto: se Berlusconi farà aprire il fuoco sul governo dal suo impero mediatico, in due ore sarà presentato un provvedimento legislativo sul conflitto di interessi, non come quello edulcorato di frattiniana memoria. Una forza del passato, i media berlusconiani, divenuta debolezza, uno dei segnali più evidenti del cambiamento in atto.
L’altro segnale del cambiamento riguarda la condizione allarmante del Partito Democratico e, segnatamente, i tentativi di resurrezione politica dell’ex premier Matteo Renzi, nonché l’onnipresenzialismo mediatico del neo iscritto Carlo Calenda. Nessuno può consigliare ad un leader, ancorché effimero, come Renzi, il suicidio politico, ma prima la smette di immaginare un ritorno, diretto o indiretto, alla guida di quel che resta del PD, con velleitarie iniziative macroniane e dichiarazioni sul nuovo governo, improvvide quanto controproducenti, prima emergerà un nuovo leader, alla guida della sinistra italiana. Una sinistra, destinata altrimenti a scomparire dallo scenario politico nazionale o, nel migliore dei casi, a diventare una riserva indiana.
A Calenda, qualcuno consigli di rileggersi le favole di Jean de La Fontaine, in particolare quella della “mosca cocchiera”. Di mosche cocchiere, il Paese non ha bisogno!
Un’opposizione inesistente, in una democrazia parlamentare, non rappresenta affatto un vantaggio per una maggioranza di governo risicata, come quella a sostegno del nuovo governo. Piuttosto, uno svantaggio, in quanto potrebbe contribuire a rendere più evidenti le lacerazioni e i conflitti interni all’esecutivo, preparandone la fine.
I cambiamenti, anche radicali, di classe politica e dirigente in una vera democrazia restano vitali e fisiologici, purché non manchi mai una forte dialettica tra maggioranza e opposizione, tra chi governa e chi controlla.