03/05/2020

Abbiamo chiesto a Raffaele Lauro, in prima linea come acuto e spregiudicato osservatore del difficile tempo presente, che stiamo vivendo e soffrendo come singoli, come famiglie e come comunità, un’intervista sul futuro, immediato e prossimo venturo, riguardante gli effetti che l’emergenza, sanitaria ed economica, provocata dalla pandemia da coronavirus, avrà sulla politica in generale, sugli assetti geopolitici mondiali, sulla governance delle istituzioni internazionali, sia politiche che finanziarie, sui regimi, democratici, autocratici e dittatoriali, e sulle leadership attualmente al potere sia all’estero che in Italia. Ne viene fuori un quadro allarmante, quasi scioccante! Un quadro, secondo lo scrittore-politologo, preludio di nefasti accadimenti che, se la politica e i futuri governanti del mondo non invertiranno la rotta rispetto al passato, potrebbe mettere a repentaglio le sorti dell’umanità stessa, nel corso dei prossimi ottant’anni, fino al compimento del primo secolo del terzo millennio, il 2100. Si riferisce esplicitamente alle pandemie sanitarie seriali, alle guerre batteriologiche, alle crisi economiche e sociali, ai risorgenti nazionalismi, ai minacciosi neo imperialismi, ai conflitti in agguato per il controllo delle materie prime, alle catastrofi ambientali, alle crisi umanitarie provocate dalla fame, dalle carestie e dalle migrazioni epocali. In poche parole, all’egoismo imperante. Lauro esplicita, in apertura, la parola-chiave per decrittare questa sua intervista-confessione, ricavata dalla sua formazione filosofica che va dalla scuola presocratica di Parmenide a Platone, da Kant a Heidegger: alétheia, verità. La verità intesa come smascheramento, come ”squarcio” del velo di Maia, come annientamento di tutte le ipocrisie e di tutte le coperture. Con una conclusione disarmante: il mondo e l’umanità sono a un tornante cruciale della Storia, che non consente più appelli o facili recuperi: o i governanti sopravvissuti si attrezzeranno a rispondere alle nuove sfide o il destino sarà segnato.

D.: Nei suoi interventi pubblici e nelle interviste rilasciate, negli ultimi tre mesi, Lei ha denunziato i ritardi colpevoli, le sottovalutazioni, le contraddizioni e le responsabilità della politica e degli attuali governanti, in Italia e all’estero, tranne poche eccezioni, che hanno caratterizzato e caratterizzano, tuttora, la mala gestione sanitaria del contagio da coronavirus e quella, addirittura caotica, dell’emergenza socio-economica, oggi nella fase più critica. Ha parlato, per primo di “anarchia”, definizione poi mutuata, a cascata, da numerosi altri commentatori. Vorremmo, in questo colloquio, ancora a distanza, affrontare un tema più ampio, che riguarda il futuro, immediato e prossimo venturo, sugli effetti che l’emergenza sanitaria ed economica avrà sulla politica in generale, sugli assetti geopolitici mondiali, sui regimi e sulle leadership politiche. Qualcuno l’ha definita una Cassandra, in riferimento alla crudezza delle sue analisi e alla brutalità dei suoi giudizi. Anche per guardare al futuro immediato e prossimo venturo, si sente una Cassandra? 

R.: Ho letto, ma questi paragoni appartengono al ridicolo. Fanno ridere. Non sono e non mi sento per niente come la mitologica sacerdotessa di Apollo, con il dono della profezia sulle sventure in divenire, pertanto avversata da molti. Chi mi conosce personalmente e ha letto i miei scritti conosce bene la mia visione del mondo e della storia umana, dominata da un sentimento di amore universale, di speranza e di solidarietà, in forza non solo della mia salda fede cristiana e della mia educazione familiare, ma anche della mia formazione storico-filosofica e della mia esperienza esistenziale, di docente e di servitore delle istituzioni democratiche. Questo non mi impedisce, tuttavia, di fronte all’immane tragedia attuale, di impiegare il raziocinio e di guardare in faccia alla realtà, per dura e amara che essa si presenti. E di allertare l’attenzione delle “sentinelle” consapevoli, poche o molte che siano, che mi leggono e mi commentano, di fronte alla tragicommedia delle menzogne, delle superficialità, delle incompetenze, dei deliri di onnipotenza (la cosiddetta “sifilide del potere”!), dei narcisismi autoreferenziali, della retorica di copertura, delle autodifese impossibili e dei rovesciamenti di responsabilità e, non da ultimo, degli inganni, a spese dei più deboli, dei cittadini, dei fedeli di tutte le religioni, dei lavoratori e delle imprese. Dovrei essere compiaciuto, e non lo sono affatto, che alcune mie espressioni vengano rinnovate da politici e da altri commentatori (non esiste per questo un copyright!), ma constato, ad esempio, che qualcuno ha avuto anche l’ardire di attingere ai principi filosofici per coprire le proprie responsabilità, scatenando gli applausi degli indotti o degli ingenui, che, in buona o in cattiva fede, ne alimentano un’illusoria popolarità e il trionfalismo dei sondaggi.

D.: Mi scusi, ma lei si riferisce all’ultimo discorso parlamentare del premier Giuseppe Conte?

R.: A lui, certo, ma non solo a lui! Diciamo che si trova in buona (o, meglio, cattiva) compagnia, in quanto a retorica autodifensiva, arroganza, presunzione e vocazione autocratica. Non basterà, tuttavia, e va sottolineato, fare di Giuseppe Conte il “capro espiatorio” del disastro, per salvarsi, da parte di chi ne ha condiviso le responsabilità, in due governi, fallimentari e distruttivi, e di chi ne ha cumulate di proprie in passato, nei governi di centro destra e di centro sinistra. Non si può giudicare, quindi, l’attuale premier come un incidente di cammino della storia, il portato di una errata operazione di laboratorio, a somiglianza di un virus maldestramente sfuggito a un centro di ricerca biologica. Conte è stato chiamato a riempiere un “vuoto politico”, meglio il fallimento della politica, il tracollo dei partiti e delle classi dirigenti, nessuna esclusa, della cosiddetta seconda repubblica. Un dissesto, una sfiducia e una crisi dei rapporti tra cittadini e istituzioni, che hanno determinato anche il successo di un movimento, anti sistema all’origine, come quello dei cinque stelle, alimentato e aizzato dalla retorica irridente e distruttiva di un comico, con tutto il seguito delle conseguenze sull’incapacità e sull’incompetenza nell’attività di governo, nonché nella trasformazione dell’anticasta in una nuova e più temibile casta. Avrebbe fatto bene, comunque, il cosiddetto “Avvocato del Popolo”, a non appellarsi, a sua esclusiva difesa, alla doxa o all’episteme, a non scomodare l’imperativo categorico kantiano (residue memorie liceali o azzardi pseudo-culturali, artefatti, di qualche improvvisato ghostwriter?). Sarebbe stato più corretto, più prudente e più da statista, affidarsi, come Winston Churchill o come Camillo Benso, Conte di Cavour, all’ἀλήθεια dei greci, alla veritas dei latini e alla verità, celebrata dai filosofi, dalla scuola presocratica di Parmenide a Platone, da Kant a Heidegger. La verità intesa come smascheramento, come ”squarcio” del velo di Maia, come annientamento di tutte le ipocrisie e di tutte le coperture.

D.: Tornando al tema-chiave di questa intervista-confessione, quali sono e quali saranno, secondo la verità, gli effetti che, a medio e a lungo termine, l’emergenza pandemica, sanitaria ed economica, avrà sulla politica in generale e sui futuri assetti geopolitici mondiali?

R.: Qualunque sia l’origine del coronavirus, sfuggito alla sicurezza di un laboratorio cinese o diffuso volontariamente da forze oscure, indicate dai complottisti di tutte le sette, oppure, più verosimilmente, “sbocciato”, si fa per dire, dalle viscere di un pipistrello e trasmesso all’uomo, a mezzo di un pangolino, dai banchi di macellazione dal vivo nel mercato degli animali selvatici di Wuhan, bisogna prendere atto che il “mostriciattolo”, dalla morfologia rotondeggiante e dalle dimensioni di 100-150 nm di diametro (circa 600 volte più piccolo del diametro di un capello umano!), ha messo alla prova del fuoco la politica mondiale. Non solo, ma ha rotto tutti gli equilibri geopolitici preesistenti, ha distrutto il mito della globalizzazione e ha smascherato la concezione di uno sviluppo economico incontrollato e senza limiti, lasciato in balia del liberismo economico, dello sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali del pianeta Terra e della concorrenza commerciale tra le grandi potenze. Dal bipolarismo della seconda guerra mondiale siamo passati a un multipolarismo, che la pandemia ha accelerato e reso, per certi aspetti, ingovernabile e del tutto imprevedibile. In questo quadro in continuo movimento, il progressivo ritiro degli USA dalle sue responsabilità globali, sui diversi scacchieri di crisi, stressato quotidianamente dalle dichiarazioni contraddittorie della presidenza Trump, il tentativo, finora abortito, di sganciare (il decoupling) l’economia statunitense da quella cinese, interconnessa massicciamente con il debito pubblico americano, la presenza sul territorio cinese dei colossi tecnologici e industriali americani, nonché la dipendenza degli USA dalla filiera dell’industria strategica cinese, rendono instabile e potenzialmente deflagrante l’equilibrio multipolare. Ne discendono la debolezza e la semi-impotenza di tutte le organizzazioni politiche e economico-finanziarie internazionali: dall’ONU, l’organizzazione intergovernativa delle Nazioni Unite, al WTO, l’organizzazione mondiale del commercio; dalla Banca Mondiale alle unioni politico-economiche e monetarie, come l’Unione Europea e la stessa NATO, l’organizzazione nord atlantica di difesa. Senza contare i ritardi e i pasticci combinati dall’OMS, l’organizzazione mondiale della sanità, che andrebbe completamente riformata. L’Unione Europea, comunque, appare la prima vittima di questa sorta di neo-isolazionismo americano, paralizzata, nelle sue decisioni, dagli egoismi nazionali, tra i paesi del Nord e quelli del Sud. Nel momento in cui sarebbe necessario avere una strategia globale per fronteggiare le conseguenze della pandemia, i pilastri delle alleanze traballano. Emergono, di contro, nell’ambito europeo, pulsioni filo russe e filo cinesi, nazionalismi e sovranismi, con il corredo dei vecchi fantasmi del razzismo e dell’antisemitismo. All’esterno del vecchio continente, inoltre, si annunziano tentativi neo-imperialistici, di matrice anche religiosa, come quello turco di Erdogan nel Mediterraneo. Prevale, ovunque, la ragion di Stato sulla solidarietà interstatuale. Al momento, risulta difficile vaticinare i futuri equilibri o gli squilibri geopolitici, per la presenza di molte variabili (i risultati delle elezioni presidenziali americane, le accertabili o meno responsabilità nella pandemia del regime cinese, la tenuta dell’autocrazia di Putin nel governo della Federazione Russa, ecc.). Risulta ancora più complesso delineare il punto di caduta dell’attuale disordine mondiale, che alimenta tre interrogativi alternativi: ci sarà la fine apocalittica della storia e della civiltà umana, The End of History (1992), preconizzata da Francis Fukuyama oppure The Clash of Civilisations (1996), temuta da Samuel P. Huntington? Prevarrà, in questa dimensione hobbesiana dell’homo homini lupus e della ragion di Stato, il più forte e il più prepotente? Oppure spunteranno nuove leadership politiche, consapevoli del destino comune dell’umanità, avvertite dei pericoli e delle sfide da affrontare, in grado di creare un nuovo ordine mondiale, fondato sul rispetto reciproco tra Stati e su un nuovo modello di sviluppo economico, non più contraddistinto dalla rapina e dallo sfruttamento degli uomini e delle risorse naturali, a vantaggio di pochi, ma sulla libertà e sull’utilizzo ragionevole dei beni naturali comuni, a favore di tutti?

D.: In quest’ultima e auspicabile ipotesi, quali sfide un nuovo governo del mondo si troverà ad affrontare?

R.: Se la politica e i futuri governanti del mondo, nel corso dei prossimi ottant’anni, fino al compimento del primo secolo del terzo millennio (2100), non invertiranno totalmente la rotta rispetto al passato, metteranno a repentaglio le sorti stesse dell’umanità, di fronte alla complessità delle sfide da affrontare e da vincere: le pandemie sanitarie seriali, le guerre batteriologiche, le reiterare crisi economiche e sociali, i risorgenti nazionalismi, i minacciosi neo-imperialismi, i conflitti in agguato per il controllo delle materie prime, le catastrofi ambientali, le crisi umanitarie provocate dalla fame, dalle carestie e dalle migrazioni epocali. Nessun Stato, da solo, anche il più forte e attrezzato, potrà fronteggiare e risolvere queste sfide epocali.

D.: Quali effetti il coronavirus ha prodotti sui regimi e sulle leadership al potere, a livello internazionale?

R.: Appare evidente, alla lunga, un indebolimento complessivo dei regimi democratici, sia a centralità parlamentare, come il nostro, sia semi-presidenziale, come quello francese, sia presidenziale, come quello americano. Nei regimi di libertà, le misure restrittive dei diritti fondamentali e, ancor più, i sacrifici economici imposti ai cittadini per affrontare guerre, crisi economico-finanziarie, catastrofi climatiche e pandemie, come la presente, provocano inizialmente una unità di intenti intorno al potere politico. Nel caso, tuttavia, di crisi persistente e di avvertita inefficacia delle misure imposte, il credito iniziale si traduce in una sfiducia nelle istituzioni democratiche e nei governanti, giudicati, nell’ora del bisogno, deboli e incapaci. Di fronte al dilagare inarrestabile della disoccupazione, al fallimento diffuso di piccole e medie imprese, nell’artigianato, nel commercio e nella produzione di beni e servizi, alla dissoluzione dei propri risparmi, al diffondersi della povertà, fino alla fame materiale, alla difficoltà di provvedere ai bisogni essenziali della propria famiglia, al propagarsi dell’incertezza per il proprio futuro e per quello dei propri figli e al protrarsi del disagio sociale, spesso causa anche di disordini e di tentativi insurrezionali, magari strumentalizzati da forze antidemocratiche, antiparlamentari e, persino, criminali, vengono messi in discussione lo stesso valore fondante della democrazia, l’identità rappresentativa dell’istituto Parlamento e il valore del diritto di voto, come strumento di legittimazione popolare. Ne consegue anche l’esaurimento delle leadership e dei partiti, che, nelle successive elezioni politiche, vengono puniti o, addirittura, annientati dalle urne. Le difficoltà di Trump, di Johnson, di Marcon e della stessa Merkel ne sono evidente testimonianza. Le autocrazie e le dittature, al contrario, si rafforzano, perché, nell’ambito dell’emergenza, si appellano al patriottismo, al sentimento nazionale e al dirigismo, come unica prassi in grado di governare una nave in tempesta. Si rafforza così il mito dell’uomo solo al comando, in unità spirituale con il proprio popolo, mentre si restringono o si aboliscono le libertà, si controllano i media, si eliminano gli avversari politici, si spazzano via le opposizioni e le minoranze. Gli esempi più eclatanti di autocrazia rafforzata rimangono quella russa di Putin e quella turca di Erdogan: il primo riuscirà a rimanere al potere più dello zar Pietro il Grande; il secondo tenterà di realizzare il sogno imperialistico sul Mediterraneo di Solimano II il Magnifico. Allo stesso modo, a differenza di quanto si riteneva allo scoppio dell’epidemia nel continente asiatico, la dittatura cinese di Xi Jinping, pur colpevole dei silenzi iniziali, si è imposta, è già uscita dal guado e si prepara, dopo aver colonizzato l’Africa, a lanciare la sua offensiva imperialistica sull’Occidente, con le lusinghe della “Via della seta”, approfittando del vuoto lasciato dagli USA. Dove è finita la sanguinosa battaglia degli studenti di Hong Kong per la democrazia e contro l’annessione alla dittatura cinese?

D.: E a livello nazionale? Quale sarà, per lei, il futuro politico del nostro paese?

R.: L’Italia si trova nel crocevia di tutte queste tensioni internazionali, indebolita e prostrata, sul piano pandemico da un bilancio drammatico, a oggi, di quasi 30.000 vittime innocenti e da una crisi economica, finanziaria e sociale senza precedenti nella storia repubblicana. Con al timone un governo a dir poco anomalo, senza una strategia chiara, presieduto da un premier, non eletto, prescelto da soggetti privati e sorretto da una non-maggioranza, formata da inconciliabili ex-nemici, politici ed elettorali. Con un’opposizione, frammentata, anch’essa manchevole di una strategia, ondivaga, contraddittoria, radicalmente incapace di incidere sulle scelte del governo. In una parola, ininfluente! Nel quadro allarmante, “un’Italia sul baratro”, uscito dalle elezioni del 4 marzo 2018, l’avvocato Giuseppe Conte, approfittando delle debolezze e delle colpe storiche di tutte le forze politiche, è riuscito abilmente a comporre e a presiedere due governi, formati da forze antitetiche e programmaticamente inconciliabili tra loro. Ha retto nel tempo, quasi un biennio, prima dell’insorgere della pandemia, con la tattica del rinvio e del trasformismo. E, dopo lo scoppio della pandemia, ha governato con pulsioni autoreferenziali, narcisistiche e autocratiche, senza confessare agli italiani mai parole di verità e senza manifestare mai nessun dubbio sui colpevoli ritardi, sulla mancanza di coordinamento, sul caos dei provvedimenti, sull’inefficacia degli atti e sull’anarchia istituzionale, tra i diversi livelli di governo, centrale e periferico. All’insegna del risibile motto reiterato come un mantra: “rifarei tutto quello che ho fatto”. Con buona pace di quei filosofi improvvidamente citati, ha ignorato la pratica della verità e del dubbio, che, in filosofia e nella vita, rappresentano i segni più alti del sapere. Dogmatico, assolutista (lui concede, come il re di Francia Luigi XVIII, non riconosce!), rappresenta, a chi ancora sa leggere la Storia, una reincarnazione, sia pure in sedicesimo, del “principe” di Machiavelli. Ha stracciato l’abito di Re Travicello, che gli era stato cucito addosso dai suoi mentori, e, dopo aver occupato il centro della scena, si è fatto Re Leone, coltivando il mito (falsissimo!) della sua insostituibilità! E, in tal modo, inebriato dal suo crescente gradimento mediatico, è riuscito a fare, dell’impotenza politica dei comprimari e degli avversari, la sua vera forza, mettendo nell’angolo, e perfino irridendo, le ambizioni revansciste del capetto dei cinque stelle, Luigi Di Maio, costretto a recitare il ruolo di gregario per salvare la poltrona, tanto avversata in passato (quella degli altri non la sua!); del dominus della Lega, Matteo Salvini, deprivato della piazza, della bestia e degli arrugginiti arnesi polemici, con i quali ha alimentato il suo consenso, ora in calo; del caporal maggiore di Italia Viva, Matteo Renzi, diventato un maestro dell’autogol ogni volta che si presenta (come Rinaldo, non Ronaldo!) in campo (almeno due volte al giorno!), nonché dei tanti leader, sbiaditi ed evanescenti, del PD, governisti e non. Da ultimo, ha compiuto il miracolo di resuscitare politicamente Silvio Berlusconi, per la gioia degli ex-censori del conflitto di interessi e degli appassionati di archeologia politica. Un’operazione che preluderebbe alla prossima piroetta trasformistica, il suo capolavoro machiavellico: sostituire, con un rimpasto, nel governo e nella maggioranza, in nome di una presunta unità nazionale, la  sempre più “ridotta partitica” del recalcitrante Renzi con la sempre più “ridotta partitica” del conciliante Berlusconi, pronto a dare il benservito al capitano leghista e alla scalpitante Georgia Meloni, rei di aver sottratto uomini, armi e munizioni a quel che resta di Forza Italia. Questo, purtroppo, lo scenario sconcertante, di fronte alle macerie del nostro paese, di un’intera classe politica nel suo inarrestabile declino. Continuerà l’attuale premier a sgovernare il nostro paese, celebrando immotivatamente il “modello italiano”, peggiorato dagli imitatori, senza mai prendere atto del “modello indiano” o di quello neozelandese, tutt’altro che intempestivi e inefficaci? Si ravvederà e cambierà metodo di governo, come in molti ancora illusoriamente sperano? O, prima o poi, magari dopo le delusioni finanziarie in sede europea, avrà il coraggio di prendere atto del disastro, nel quale ha contribuito a precipitarci, e si recherà al Quirinale per rassegnare le dimissioni? Consentendo così al presidente della Repubblica di affidare a ben altre, e più salde, nonché autorevoli, mani, la guida del paese, in grado di chiedere agli italiani sacrifici finanziari straordinari, ormai inevitabili. Non è dato fare previsioni, a breve, sulle risposte a questi interrogativi, ma si può nutrire la speranza che, in un futuro non lontano, sul palcoscenico della politica italiana, per volontà del popolo sovrano, entrino in scena nuovi e affidabili interpreti degli interessi nazionali, nuove forze politiche e nuovi leader credibili.

D.: In conclusione, cosa ci aspetta in futuro, a livello mondiale?

R.: Il mondo e l’umanità sono a un tornante cruciale della Storia, che non consente più appelli o facili recuperi: o i governanti sopravvissuti si attrezzeranno a rispondere alle nuove sfide oppure il destino sarà segnato.

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