31/05/2020

di Francesco Di Maio

Abbiamo intervistato  Raffaele Lauro (www.raffaelelauro.it), scrittore, saggista, prefetto e senatore della Repubblica, legatissimo alla sua terra natale, spaziando: dalla politica internazionale a quella nazionale, con un particolare riferimento alla crisi economica e sociale in atto, provocata dalla pandemia Covid - 19; dal Recovery Fund ai rischi di una bomba sociale. Un’idea progetto per il rilancio del turismo a Sorrento e in penisola sorrentina.

D.: Senatore, ci aiuti a capire una delle questioni centrali della  politica internazionale: cosa c’è alla base dello scontro crescente tra USA e Cina e quali evoluzioni prevede per il futuro?

R.: Come ho analizzato in articolati interventi, siamo passati, a livello geopolitico mondiale, dal bipolarismo, nato a Yalta nel 1945 tra il blocco occidentale, guidato dagli Stati Uniti, e il blocco orientale, guidato dall’Unione Sovietica, al multipolarismo. Dopo la caduta del muro di Berlino, nel novembre 1989, il tramonto delle ideologie e la fine di molti regimi comunisti, infatti, gli equilibri si sono progressivamente modificati con l’emergere di una nuova potenza globale, la Cina. Un regime rimasto comunista, forte di una crescente dimensione demografica, di una straordinaria capacità di sviluppo economico e di un’inossidabile identità Stato-Partito-Esercito. I dirigenti comunisti sono riusciti a coniugare un capitalismo di Stato con alcune limitatissime e controllate attività economiche private,  senza intaccare, anzi rafforzandolo, un regime totalitario, centralistico e liberticida. Questa potenza si è tradotta, con le dinamiche della raffinatissima diplomazia cinese, in un neo imperialismo economico che sta progressivamente infiltrando gli USA, l’Africa e l’Europa. E aspira a dominare il mondo. Chi si illudeva che lo sviluppo  e il benessere economico avessero portato ad un’evoluzione democratica del regime, si è dovuto ricredere. Il condizionamento cinese investe due aspetti in particolare: il ruolo preponderante della Cina nel commercio internazionale, con l’imponente export cinese verso il resto del mondo, e il contestuale intreccio (perverso) tra il debito pubblico americano, in mano alla Cina nella misura di quasi il 40%, e la localizzazione in territorio cinese delle “radici produttive” di alcune multinazionali tecnologiche e digitali statunitensi. Nel contempo, dopo lo sbandamento ventennale seguito alla caduta del regime sovietico, la Russia, governata con un pugno di ferro dall’autocrazia di Putin, si è ricompattava, ha evitato lo sfacelo della confederazione delle ex repubbliche sovietiche ed è ritornata protagonista, politica ed economica,  sulla scena mondiale e nei diversi scacchieri regionali, caratterizzati da cronici conflitti, a carattere politico-religioso, come il Medio Oriente. A fronte di questo scenario più complesso, la posizione degli USA, oscillante tra protagonismo e neo isolazionismo, minacciata dal terrorismo islamico, si è indebolita, quasi sfilacciata, specie sotto l’attuale presidenza Trump,  nella doppia “confrontation”:  di potenza,  con la Russia di Putin e commerciale con la Cina di Xi Jinping. Senza contare gli emergenti  espansionismi regionali, come quello turco di Erdogan sul Mediterraneo, che ambisce a realizzare il sogno di Solimano II il Magnifico, da me narrato nel romanzo storico “Sorrento The Romance - Il conflitto, nel XVI secolo, tra Cristianesimo e Islam”. Libia docet! L’Unione Europea, indebolita dalla crisi economica e dai conflitti interni tra Nord e Sud, nonché dalla Brexit, si è trasformata nel classico “vaso di coccio tra i vasi di ferro”: ex-gigante  economico, rimasto un nano politico! La politica estera dell’Unione, quindi, sullo scacchiere mondiale, ha un’influenza pari allo zero. Le divergenze tra gli Stati membri, a regime democratico, e il prevalere, all’interno degli stessi, di partiti e movimenti cosiddetti sovranisti, populisti, nazionalisti e antieuropeisti, rischiano di portare, di fronte a crisi indotte da eventi imprevedibili, come l’attuale pandemia da coronavirus, all’indebolimento dell’Unione e, finanche, al suo dissolvimento. Su questo multipolarismo, tutt’altro che stabile, incidono anche altri micidiali fattori nascosti, very deep, sconosciuti ai più: la consistenza degli arsenali atomici, il controllo delle fonti di energia, l’accaparramento delle materie prime, lo spionaggio industriale, la guerra digitale, le interferenze esterne nelle elezioni democratiche, i conflitti regionali, il mercato gli armamenti, le centrali del terrorismo e il ruolo dei servizi segreti. Naturalmente, ai loro fini di influenza, le “sirene”, cinesi o russe, cercano di incantare gli inconsapevoli esponenti europei del sovranismo e del populismo. 

D.: Lei ha criticato il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, ritenuto troppo filocinese, perché?

R.: Il ministro Di Maio, come tutti i politici al potere in una democrazia parlamentare, è soggetto al controllo del parlamento e al giudizio dell’elettorato, della stampa libera, dell’opinione pubblica e dei singoli cittadini, in base ai diritti costituzionali. Non condivido, e l’ho ripetuto chiaramente, che gli avversari politici per delegittimare il ministro, tirino in ballo i suoi trascorsi di studente-lavoratore, dandogli del “bibitaro”, dello “steward” o dell’“esperto informatico”. Quelli sono meriti e non demeriti, lo dico da ex studente-lavoratore, attività di cui mi vanto. Sono ben più gravi i motivi di critica che si possono contestare a Luigi Di Maio: essere diventato da un fervente anticasta il simbolo della nuova casta; da militante antipotere a simbolo del nuovo potere, cumulando fino a quattro incarichi, tra istituzionali e politici, segno di presunzione e di superficialità; da censore anticlientelista e anticlanista a simbolo del nuovo clientelismo e clanismo politico (il cosiddetto “bottino delle nomine” fa impallidire quello dei peggiori leader della prima repubblica!). Senza contare, tralasciando per carità di patria le sue ormai storiche gaffe,  il fallimento e l’inconcludenza di tutta la sua attività di governo. Indimenticabile rimane la fanfaronata di aver abolito “la povertà”, annunziata dal balcone di Palazzo Chigi, che manco un dittatore della “repubblica delle banane”. Nello specifico della domanda, Di Maio è diventato il principale interlocutore della “sirena cinese”, annunciando, per il 2020, i frutti del progetto cinese “La via della seta”. Quei frutti (nefasti)  sono sotto gli occhi di tutti. Abbiamo importato dalla Cina il Covid - 19 e milioni di mascherine, peraltro non sempre idonee, ma pagate a caro prezzo. 


D.: Eppure Di Maio è considerato  molto vicino ad un suo amico di sempre, l’ex Ministro e Presidente della Link University, Vincenzo Scotti


R.: Scotti è stato uno dei politici più intelligenti e preparati della prima repubblica, nonché un ministro dell’Interno, con il quale ho collaborato nella delicata responsabilità di capo di gabinetto, in momenti drammatici dell’attacco allo Stato da parte degli stragisti mafiosi. Confermo, da testimone fedele, la sua consolidata capacità di governo e la sua coraggiosa lotta contro la mafia, per la quale ha dovuto pagare anche prezzi personali nel prosieguo dell’impegno politico-istituzionale. Da quella collaborazione  è nata una grande amicizia, fatta sempre di confronto schietto, di profonda stima e di reciproca considerazione. Non ho alcuna conoscenza diretta dei rapporti intercorsi tra Scotti e Di Maio, se non quanto letto sui giornali. Posso ipotizzare, comunque, che se a Scotti fossero stati richiesti consigli, da uomo generoso, specie verso i giovani,  certamente li avrebbe dati a Di Maio, in particolare sulla scelta oculata dei collaboratori ministeriali. Dai risultati, arguisco che non sarebbero stati ascoltati.

D.: Il Recovery Fund presentato dalla Presidente delle Commissione europea Ursula Von der Leyen salverà l’euro e l’Europa?

R.: Ho precisato, in tempi non sospetti, e documentatamente, che per avviare a soluzione, in un triennio, la  crisi economica e sociale, nonché finanziaria, conseguente a quella pandemica, come sta avvenendo, sarebbero stati necessari, soltanto per l’Italia, dai 500 ai 1000 miliardi. La mia stima sull’entità delle esigenze finanziarie per gli investimenti necessari al recupero il PIL perduto, in chiave di sviluppo sostenibile, non é mutata, anzi si è rafforzata. Considero, comunque, un passo in avanti, ancorché non decisivo, il Recovery Fund. Anche se dovessero essere assegnati all’Italia, tuttavia, tra contributi e prestiti, pur a lunghissima scadenza, risorse fino a 200 miliardi, non risulterebbero sufficienti. Quindi bisognerebbe fare ricorso ad altri strumenti per recuperare liquidità, sia europei, come il MES, che nazionali, come un prelievo forzoso sul risparmio. In ogni caso, per fare una stima, ponderata e definitiva,  bisogna attendere le decisioni conclusive del Consiglio europeo di giugno. E precisamente: le condizioni reali imposte, gli eventuali ulteriori approfondimenti in sede collegiale, richiesti dai paesi cosiddetti “frugali” o da leader sovranisti, come l’ungherese Orban,  e, non da ultimo, i tempi concreti di erogazione dei fondi, con gli eventuali acconti. Ecco perché giudico avventato, superficiale ed eccessivo il trionfalismo del premier Conte e della maggioranza di governo, prima di conoscere i dati finali del Recovery Fund. Un adagio inglese recita: “Don\\\\\\\'t count your chickens before they are hatched!”. Un adagio italiano declama: “Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco”. Evidentemente Conte e i suoi comprimari, anche del PD, ignorano la saggezza popolare!

D.: Gli effetti della crisi in Italia non si manifestano ancora in modo drammatico. Eppure c’è grande preoccupazione per lo scoppio della bomba sociale. Lei cosa pensa a riguardo?

R.: Il ritardo patologico e inaccettabile dell’erogazione dei bonus, dei prestiti alle imprese e degli strumenti di protezione del lavoro, come la cassa integrazione, previsti dai tre decreti-legge economici, annunziati, come fossero ad esecuzione immediata, dal premier Conte, hanno provocato ansia, irritazione, sconcerto e rabbia in milioni di cittadini, lavoratori e imprenditori. Pur essendo privi di finanziamenti per lo sviluppo, i tre provvedimenti hanno mancato la loro finalità di sostegno immediato alle persone, alle famiglie e alle imprese. Se i ritardi non saranno subito recuperati, la rabbia crescente si potrebbe trasformare in una esplosiva e devastante bomba sociale. Basterebbe un innesco. Il recente grido di allarme lanciato dal ministro dell’Interno rappresenta un sintomo di una situazione prossima alla rottura. Gli italiani non sono, per storia e per carattere, dei rivoluzionari o degli insurrezionali, ma, ad incendiare il pagliaio, non si può escludere a priori anche lo zampino interessato della criminalità organizzata, sempre in agguato.



D.: Lei è molto critico nei confronti del Governo. Cosa avrebbe dovuto fare che non ha fatto?

R.: Il mio diario sulla pandemia 2020, dal titolo ‘Io accuso”, documenterà, con date precise, le sottovalutazioni e le inadempienze iniziali del primo ministro e del suo governo. Si sono persi quaranta giorni! Un’eternità in tempi di pandemia. Nonché il successivo mancato coordinamento e l’insorgenza di quelle che io ho definito le tre anarchie: istituzionale, tra Stato, Regioni ed Enti Locali; scientifica, tra i consulenti del governo; comunicazionale, tra lo staff del presidente, i ministri, i viceministri, i sottosegretari, i presidenti di regione, i sindaci, la protezione civile, i commissari, i comitati e i sottocomitati. Una babele! Tutti infettati da un altro virus, quello che ho definito, con un neologismo, l’annuncite, una malattia endemica della politica italiana,  una sindrome della dichiarazione a tutti i costi, l’ossessione di annunziare subito, senza prima verificare. In questa malsana prassi, considero il premier un vero magister, dopo Matteo Renzi, come risulta maestro, meglio un raffinato specialista, nel metodo del rovesciamento delle proprie responsabilità sugli altri: la  burocrazia, gli scienziati, le banche, l’INPS o i presidenti delle regioni. Un ponziopilatismo mai registrato in precedenza. Se, malauguratamente, dovesse andare male il Consiglio europeo, e Dio non voglia!, Conte  assumerebbe subito, trasformisticamente, la guida dell’antieuropeismo. Dedicherò presto un approfondimento alla figura poliedrica, e per certi aspetti enigmatica,  di Giuseppe Conte, il nuovo fenomeno della politica italiana e la compiuta espressione della crisi dei partiti, nonché del tessuto democratico nazionale. 


D.: Ipotesi Mario Draghi alla guida del Governo: è solo un gossip o una necessità?

R.: È nota la mia profonda stima e la mia altissima considerazione per il presidente Draghi, per la sua statura morale e intellettuale, nonché per il servizio reso alle istituzioni bancarie, sia a livello nazionale che europeo. Sarebbe una fortuna, per il nostro paese, averlo alla guida di un futuro governo della ricostruzione nazionale. Al di là  degli auspici, tuttavia, questa possibilità dovrebbe fare i conti con le valutazioni del presidente della Repubblica, con la volontà dell’interessato, con gli attuali equilibri politici e con la crisi progettuale della maggioranza e dell’opposizione. Ma tutto potrebbe diventare possibile! 


D.: Il sovranismo è destinato a svuotarsi oppure a rafforzarsi per effetto dell’emergenza sanitaria e della crisi economica?

R.: Dipende dagli sviluppi della pandemia, se ci dovesse essere, speriamo di no, una nuova ondata in autunno,  e dalla durata della crisi economica e sociale. Non sempre la Storia si ripete, certo continua ad insegnare. Ricordiamo a cosa portò la crisi del 1929, con la depressione economica, la disoccupazione generale e la fine della Repubblica di Weimar. Le democrazie occidentali appaiono oggi più fragili e le autocrazie vincenti. Se fallisse l’Unione Europea, il sovranismo e il nazionalismo riprenderebbero forza e potere. Rischieremmo di rimanere soli, come paese, soggetti a quel multipolarismo instabile, che non promette niente di buono per il futuro dell’umanità. 

D.: Il turismo è uno dei comparti più colpiti in assoluto. L’economia della penisola sorrentina ruota intorno alla gestione dell’incoming. Chi deve intervenire, cosa si può fare e come è destinato a cambiate il settore? 

R.: Necessita un ripensamento strategico del turismo in penisola sorrentina, a partire da Sorrento e coinvolgendo anche Capri, con una proiezione ventennale, da calare in un progetto organico,  sul quale ottenere i fondi europei. Una progettazione che dovrebbe partire dalla base, un’elaborazione a carattere collettivo, con il coinvolgimento di tutti gli operatori e responsabili del settore, sotto l’egida delle amministrazioni comunali.  Senza aspettare che scenda dal cielo. Da definire, almeno per linee generali, nel corso dell’estate, senza attendere le nuove amministrazioni di Sorrento e di Massa Lubrense, salvo verifiche degli amministratori successivi,  il nuovo governo regionale, che potrà essere operativo solo agli inizi del nuovo anno, tantomeno il governo nazionale attuale, che non ha dedicato al turismo l’attenzione che meritava. Chi progetterà prima, e in modo credibile, professionale e realistico, beneficherà dei fondi europei. Gli altri resteranno out.  Ho letto anche sul vostro settimanale cartaceo, da ieri in edicola,  molti spunti interessanti, che vanno ricondotti ad unità. Non mancherà il mio piccolo contributo di riflessione. Sto recuperando, pertanto,  un’idea progetto elaborata quando ho ricoperto la responsabilità della Cultura nella giunta municipale di Sorrento. Parliamo di quarant’anni fa. Per Benedetto Croce, le idee camminano sulle gambe degli uomini, anche se in ritardo. Allora sembravano progetti visionari, ora potrebbero rivelarsi attuali e rendersi utili. 

La ringrazio, Senatore Lauro, per questa articolata e illuminante intervista. Restiamo in attesa del suo contributo di riflessione sul turismo.

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